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Mon crime - La colpevole sono io

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Mon crime - La colpevole sono io

di yume
9 stelle

Nel suo ultimo lavoro Ozon riesce a superare sé stesso, lunga vita e ad maiora!

locandina

Mon crime - La colpevole sono io (2023): locandina

 

Tre donne intorno al cor mi son venute,
e seggonsi di fore:
ché dentro siede Amore,
lo quale è in segnoria de la mia vita.
Tanto son belle e di tanta vertute
che ’l possente segnore,
dico quel ch’è nel core,
a pena del parlar di lor s’aita.

Chissà che a Ozon, mentre leggeva la pièce di George Berr e Louis Verneil da cui ha tratto il film, non siano venuti in mente questi versi di Dante?

Ci piace crederlo, in fondo le tre donne sono quell’ immagine della Giustizia universale, della Giustizia umana e della Legge naturale che dominano la scena del film e la singolar tenzone con le forze del male che, a fasi alterne, arriveranno al meritato trionfo.

Certo, nella Francia del 1935 il patibolo funzionava alla grande e pubblici ministeri col dito puntato contro le assoluzioni facili di donne che uccidono uomini erano la normalità.

Ecco perché ci uccidono, sanno che verranno assolte!” strepita il grasso magistrato la cui moglie infatti lo sgozzerà (chiediamo scusa per lo spoiler, ma è solo una notizia a margine relegata fra i titoli di coda).

Fatto sta che la giuria è composta di soli uomini, il collegio giudicante idem.

Dunque cosa spinge la bella attricetta senza talento a dichiararsi colpevole di un delitto non commesso?

Un po’ di calcolo, il giudice istruttore (Luchini che sembra modellato per la parte dell’inetto) le ha fatto balenare l’eventualità della discolpa per legittima difesa) e un pizzico di follia che, come sosteneva Erasmo, nella vita non deve mai mancare.

Dopo tutto, cos’ha da perdere?

Rebecca Marder, Nadia Tereszkiewicz

Mon crime - La colpevole sono io (2023): Rebecca Marder, Nadia Tereszkiewicz

Miserrima, senza ingaggi, vita in una topaia con proprietario che reclama l’affitto da mesi, una portinaia che nessuno che viva in condominio vorrebbe avere, un fidanzato che decide di sposare una ricca e degradarla al ruolo di amante: serve altro?

L’amica che condivide con lei una vita di stenti, è un’avvocata senza clienti, ma, più ottimista, la convince a non spararsi con quella pistola che il commissario sospettoso troverà mentre le due amiche (rinfrancate da una golosa baguette al burro e prosciutto) se ne vanno al cinema a vedere un bel Wilder.

La chiave dell’appartamento l’ha data al commissario la portiera di cui sopra, e la perquisizione avviene forse senza mandato e certo in assenza della sospettata.

Per farla breve, tutto congiura contro la nostra mademoiselle che rischia l’impiccagione per aver ucciso il grosso impresario teatrale che l’aveva invitata nella sua garconnière non certo per studiare la parte.

Lei era riuscita a scappare, ma qualcuno aveva ammazzato poco dopo il “porco” (così viene appellato in tribunale) e naturalmente tutti gli indizi sono contro di lei.

Cosa rimane? Prevedendo, come Luchini ha fatto balenare, attenuanti o assoluzione, la ragazza si dichiara colpevole.

L’amica avvocata ha un attimo di perplessità ma, mezza svitata anche lei, la segue a ruota e assume la difesa.

Si va al processo che è la parte migliore del film, un pezzo di gran teatro nel cinema, dove Ozon si diverte a miscelare toni seri e faceti, mettendo in bocca ai vari protagonisti frasi e discorsi memorabili.

In filigrana, dietro la vicenda un po’ surreale, ce n’è per tutti.

Intanto una propaggine del me too, o meglio, un’anticipazione, con tutte le manipolazioni a cui abbiamo assistito; poi il tema, serissimo stavolta, della condizione femminile.

Nel lontano 1935 condizione non molto bella se bastava un processo indiziario per rischiare il patibolo (non dimentichiamo Un affare di donne di Chabrol, storia tragica di Marie-Louise Giraud, una delle ultime donne ad essere ghigliottinate in Francia,, per aver procurato aborti clandestini).

Infine i mass media che, come sempre, fanno la loro parte e Ozon è abbondante nel riprendere titoli cubitali buoni ad aizzare le masse e creare opinione.

Insomma, sotto il gioco spesso divertito e il velo favolistico c’è la realtà, e filtrarla con la leggerezza di un film che mantiene il sapore della pièce teatrale (pensiamo a Lubitsch, a Bernard Shaw) è un buon modo di mediare contenuti drammatici. Non dimentichiamo che siamo nel ‘35, tempo cinque anni e Pétain inaugurerà il governo collaborazionista col nazismo, c’era poco da scherzare, la donna di Chabrol finisce ghigliottinata proprio allora.

Le nostre due eroine rappresentano un modo di essere donne che può vincere se coraggio e follia aiutano. La terza del gruppo è Isabelle Huppert, appare nella seconda parte del film a ribaltare ancora una volta la realtà (o quella che si è deciso lo sia). Tra verità e falsificazione il confine è labile, facile da rimuovere, nulla è come sembra, ma allora si può credere anche nella giustizia, si tratta di ribaltare la menzogna e credere in amore e libertà

Dopotutto, Ozon lo sostiene da sempre, almeno da Ricky - Una storia d’amore e libertà, quando mise in scena il piccolo angelo “telecomandato” che volava con le sue alucce di pollo, film del 2009 in cui l’evento fiabesco si incastrava in modo naturale su un terreno di solido realismo, fatto di ordinarie storie di sentimenti e paure, miseria da banlieu e fatica quotidiana.

La Huppert, la diva francese più amata dagli italiani fuori dal proprio Paese, è straordinaria nella parte di ex diva del muto, un tempo in auge e oggi ridotta a mangiare a giorni alterni.

E la polemica sul mondo usa e getta che è il nostro è scoperta.

Anche lei ha il suo da fare per inventarsi la vita come donna, e ci riesce, a patto che non si faccia cenno alla sua età, e così pretende di fare la sorella maggiore e non la madre nella parte che le sarà offerta in cambio di quel che si saprà vedendo il film.

Sull’età le donne non transigono, sarà sempre il loro tallone di … Achille, ok!

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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