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Wampyr

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su Wampyr

di carlos brigante
8 stelle

Martin” è la storia di un escluso della società. Un reietto condannato dall'ignoranza e dalla superstizione famigliare a sentirsi diverso. Un “assetato di sangue” vittima della propria malattia e debolezza. Un'anima in pena destinata a non trovare mai pace e a vagare in attesa del giorno del giudizio.
È il titolo dell'edizione italiana, "Wampyr" (dilaniata da Dario Argento), a voler spingere sull'horror. Romero punta, semmai, a descrivere un dramma personale puntando l'attenzione su ciò che accade intorno al protagonista (Martin). L'apparente quiete della provincia americana si presenta come una landa desolata: donne fedifraghe; rapporti di coppia in crisi; pettegolezzi; un prete più attaccato al bicchiere che alle funzioni religiose; la superstizione che squarcia la fede religiosa; teppisti di periferia. Una provincia bigotta in cui il “sembrare” è più importante dell'”essere”. Ecco, forse, perché Martin (dalla perenne espressione triste e malinconica) sembra quasi il male minore in mezzo a questo decadente e decaduto sitema-mondo .

Romero si immerge alla sua maniera nel vampirismo, spazzando via in un sol colpo tutti i cliché che avevano sempre caratterizzato la figura mitica del vampiro. Lo fa ripetutamente ed esplicitamente. “Accade solo nei film” ripete il giovane protagonista al conduttore radiofonico assetato di audience. Crocifissi, aglio ed esorcismi vari, non servono a nulla proprio perché il “nuovo Nosferatu” non è un non-uomo. E' la famiglia che lo ha sempre etichettato come tale. Martin è un ragazzo dall’aspetto normale, spinto da istinti omicidi a bere il sangue delle sue vittime. Chi ha creato allora il mostro?

La figura di Martin più che un neo-Nosferatu ricorda, semmai, uno dei tanti antieroi della New Hollywood anni ’70: disilluso, fuori tempo e fuori posto. Un’anima tormentata immersa in una società decadente e decaduta. Non siamo, poi, così lontani dal Travis Bickle di “Taxi Driver” o dal Jimmy Angelelli di “Rapsodia per un killer” Più il film procede e più Martin acquista le caratteristiche di una vittima predestinata, disperdendo nel corso delle azioni quell'aura di killer seriale. É, invece, il vecchio cugino Cuda quello che poco alla volta si trasforma in carnefice; schiavo delle proprie superstizioni mascherate da (bigotto) perbenismo di facciata. Cuda incarna il male invisibile della strisciante normalità di tutti i giorni.

Nello stesso anno di “Dawn of the Dead”, Romero ci regala un’altra opera da ricordare!

NOTA: Park Chan-wook si è ispirato a questa pellicola per il suo “Thirst”.

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