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Air - La storia del grande salto

Regia di Ben Affleck vedi scheda film

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La recensione su Air - La storia del grande salto

di Andreotti_Ciro
5 stelle

In futuro il marchio Air Jordan sopravvivrà sia a me, sia allo stesso Michael”

 

Parole e musica di Sonny Vaccaro, manager dalle chiare origini Italiane e dalla capacità di creare brand e idee quasi dal nulla. Matt Damon lo impersona come un uomo di mezz’età, fuori forma ma con una passione a 360° per la palla a spicchi. Inizialmente incapace a risollevare una marca di scarpe che nell’America Reganiana era nota per il jogging e non certo per il basket, e con avversarie dal nome di Converse e Adidas che si spartivano le super star NBA. Questo fino a quando Sonny non intuisce le potenzialità di una giovane promessa, predicendone fortuna e onori e di come abbia saputo persuadere la famiglia Jordan, in particolare la signora Deloris, di portare il figlio a sottoscrivere il primo accordo non solo fra una marca di Sneakers e un atleta, ma riscrivendone l’agiografia riportata nella citazione iniziale. Ovvero una calzatura che non è più uno strumento di gioco ma che diventa simbolo costruito attorno al soprannome e alla figura di un singolo uomo.

 

 

Nelle retrovie del mondo del marketing Matt Damon deve regolarmente scontrarsi con il suo vecchio amico Ben Affleck, calatosi sia nel ruolo dell’eccentrico CEO della Nike, Phil Knight, sia in quello di regista. Al suo fianco Rob Strasser, interpretato da Jason Bateman, direttore marketing agguerrito, ma che come tutti non crede molto in una Nike vincente nello scontro con i brand rivali.

 

La pellicola scivola veloce fra ripensamenti, dubbi, discussioni professionali e scontri personali fino al più classico dei finali concilianti. Meno efficace però del precedente successo dietro la macchina da presa firmato da Affleck nel 2012: Argo. Che gli valse l’Oscar come miglior regista e numerosi attestati di stima. Forse a causa della trama piena di personaggi che, per quanto caratterizzati da ciascun attore nella maniera migliore possibile, non bucano lo schermo né per simpatia e nemmeno per la capacità di essere ricordati. Fa eccezione Viola Davis nel ruolo della madre di Jordan, il quale ne aveva preteso l’ingaggio. Vera spina dorsale della trattativa in cui l’atleta si vede solo di spalle e in immagini di repertorio. Piacerà a chi è catturato da un sogno americano tradotto tramite l’idea vincente portata avanti da un singolo individuo. Si astenga chi pensa in questa pellicola di rivedere le gesta del 23 in casacca rossonera.

 

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