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A. I. Intelligenza artificiale

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su A. I. Intelligenza artificiale

di pippus
8 stelle

“ Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente! ”

Il Nobel per la Medicina Rita Levi Montalcini in occasione del suo 100° compleanno.

 

 

 

 

“Come l’avrebbe fatto Kubrick?” Non ne ho idea, per contro ho constatato come quest’opera di Spielberg, pur non essendo annoverabile tra le migliori del regista, non sia priva di alcuni pregi. Quantificando, opterei per tre stelle e mezza!

“Quindi come si giustificano le quattro stelle?”

Oggetto di questa mia “opinione” (più borderline del solito) sarà appunto il tentativo di esporre il motivo di questo upgrade.

 

Il film nasce da una buona idea ma.. non sempre scorre fluidamente, anzi, dopo la prima parte, pregna di coinvolgente e kubrickiana atmosfera con riusciti effetti speciali, ci ritroviamo invischiati in una seconda prolissa parte che definirei, senza remore, un poco convincente e farraginoso coacervo di collodiana matrice confluente in un’ inquietante e fantasmagorica “fiera della carne”, vero campo di sterminio dove i “mecha” (orribile definizione) vengono distrutti. Per di più a questa sequenza si giunge dopo essersi poco prima sorbiti lo sgradevole, quasi irritante, e incomprensibile (apparentemente) abbandono del povero David da parte di Monica nei confronti della quale, in seguito all’imprinting ricevuto, il suddetto nutriva l’atavico sentimento che ogni bambino riserva alla propria mamma. Evento davvero odioso, dovuto però alle forzate precedenti vicissitudini previste dalla sceneggiatura e che trova giustificazioni nello stimolo alla meditazione, da parte dello spettatore, nel constatare la reazione così “umana” di David.

Nel corso della terza parte assistiamo a una sequenza “mirata” che, al pari della separazione dalla mamma relativa alla prima parte, stimola il sottile input meditativo nella mente dello spettatore; alludo allo sbigottimento di David nel constatare di non essere unico, ma bensì il prototipo di un modello “in serie”! Sbigottimento che sfocerà in un’aggressività devastante per il suo clone, oltreché per sé nel successivo tentativo di suicidio. 

Si recupera fiducia nel seppur sdolcinato e mieloso epilogo che ha comunque il pregio di soddisfare le aspettative della cospicua fascia giovanile (e forse non solo) a cui la pellicola è prioritariamente indirizzata.

Il film include tuttavia qualcos’altro non necessariamente simultaneo alla visione, anzi verosimilmente successivo a questa: percezioni all’origine di ponderate riflessioni nelle quali mi sono piacevolmente cullato e… su queste mi soffermerei, tralasciando trama e quant’altro meri veicoli per le prime. Ovvero è mia convinzione che i fotogrammi custodiscano un formidabile e non troppo velato messaggio la cui decodifica, non palesatasi nell’immediato, induce un "potente dilemma”: come dovremmo reagire il giorno in cui dovessimo trovarci di fronte a David? Domanda apparentemente banale ma… non troppo, anzi tutt’altro; i problemi etici ed esistenziali che ne conseguirebbero meritano dovute considerazioni.

Alla conseguente immersione di David nelle gelide acque dell’oceano ha fatto eco la “riemersione” nella mia mente di alcuni argomenti risalenti ai giovanili interessi per la psichiatria, in particolare sulle "basi" della nostra mente: “La Memoria”, “Il Pensiero”, “L’Affettività”, “La Volontà” e “La Coscienza” con le relative dinamiche comportamentali (anche eventualmente patologiche) che in queste e da queste possono originare, e delle quali dovremmo tener conto nel momento in cui ci dovessimo trovare al cospetto di “Qualcosa” di inorganico ma dotato delle nostre stesse caratteristiche psichiche; contingenza che sarebbe all’origine di serie perplessità sull’atteggiamento deontologicamente ed eticamente corretto da seguire.

Il film di Spielberg più di ogni altro stimola queste meditazioni

(qualcosa di simile l’avevo già provato con HAL9000 ma in maniera meno traumatica, probabilmente a causa del mancato antropomorfismo di quest’ultimo, avvalorato dalla sua impersonale ubiquità a bordo della Discovery One ). Saremmo pronti per un simile confronto? Non credo, e penso che , come nel film, dovremmo attraversare nuovamente un periodo “schiavista” con le entità inorganiche nel ruolo che fu degli afroamericani. Ma il quesito prima o poi diverrebbe impellente: quale aspetto dovrebbe prevalere? La questione “base organica o inorganica” (soluzione razzista), oppure la constatazione di come pensiero e coscienza da entrambe le basi e con pari dignità possono originare? (soluzione etica).

Nelle cliniche psichiatriche soggiornano molte “basi organiche” ormai incapaci di un pensiero coerente ma, non per questo, meno meritevoli di rispetto e attenzione; quindi teoricamente dovremmo riservare lo stesso trattamento a “ Chi o Qualcosa” manifesti tale pensiero ad ampio spettro proprio come noi. David rivolge a Monica la domanda: “ Mamma tu morirai? E io resterò solo?” Il suo è il timore di ogni bambino, a riprova di quanto le sue silicee sinapsi siano simili a quelle delle unità carbonio, la sua coscienza è identica alla nostra e, come noi, prova le stesse sensazioni a parità di situazioni.

Sarebbe tutt’altro che semplice confrontarci con una simile realtà senza i dovuti adattamenti, la nostra quotidianità non la prevede, eppure a detta di alcuni scienziati si tratterebbe di una mera “particolarità” riguardante un problema di solo software, in quanto l’hardware, assicurano, sia già disponibile (un briciolo di scetticismo credo sia d’obbligo)!

Questa “particolarità” sarebbe però destinata a rivoluzionare ogni sfera dell’esistenza, dalla più “materiale” alla più “mistica” (e questo non sarebbe un aspetto secondario viste le inevitabili implicazioni filosofiche e religiose)! “Un Qualcosa”, e non solo “qualcosa”, in grado di pensare (quindi non meri “esecutori”, come i più potenti supercomputer odierni) di ragionare e dissertare in termini di Es, Io e Super-io, di interrogarsi sulla propria esistenza e sul Tutto, di amare, odiare, mentire e soffrire; in breve un essere dotato di tutte le caratteristiche del pensiero umano (per fare un esempio a noi calzante, un’entità in grado, come noi, di vedere un film, esprimerne un parere ed eventualmente redigerne una recensione)! Converrete che non sarebbe semplice metabolizzare una simile realtà nell’immediato. Personalmente sarei giunto alla convinzione di una opportuna correttezza etica che dovrebbe tener conto, in primis, della personalità e dignità dell’”Essere” indipendentemente dalla base organica o meno, rivelando entrambe le tipologie il possesso di un’ “Anima” nel senso più ampio del termine!

 

Già, ma è solo S.F. e nutro qualche dubbio sull’auspicio che non rimanga tale.

 

Bene, lasciando le astratte elucubrazioni e tornando al film, non sarebbe corretto non sottolinearne le peculiarità: dagli effetti speciali, davvero strabilianti per l’epoca, ai protagonisti (con il piccolo Joel Osment in pole grazie al suo prodigioso rapporto età/bravura), ma ancor più per la sensibilità con la quale Spielberg (seppur con le imperfezioni all’inizio accennate) è riuscito ad adattare in chiave moderna la favola di Collodi.

Occorre render merito alla dettagliata ed efficace scenografia che, coinvolgendo la seconda e, ancor più, la terza parte della pellicola, sopperisce parzialmente alla minor razionalità nei confronti della prima parte.

In ultimo (mi ritrovo tra gli estimatori dell’epilogo) è davvero difficile non commuoversi nel corso della sequenza finale dove David, grazie al prodigioso intervento dei mecha alieni e confortato dall’ orsacchiotto/mentore Teddy, si sente finalmente un “bambino vero” con la mamma tutta per sé seppur per un sol giorno, un giorno però speciale che si protrarrà per l’eternità nel momento in cui, dopo averla coccolata e amorevolmente accudita, tra le sue braccia chiuderà gli occhi e con lei raggiungerà il rasserenante luogo all’origine dei sogni. Forever!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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