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Gocce d'acqua su pietre roventi

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Gocce d'acqua su pietre roventi

di LorCio
8 stelle

Quando leggi che in un film ci sta di mezzo un tal Fassbinder puoi tranquillamente lasciare perdere il proposito di assistere ad un film “normale”. Ozon, al secondo opus, recupera questo vecchio testo giovanile del regista tedesco – la cui dimensione teatrale si sente senza essere invadente – e realizza un piccolo e destabilizzante racconto sulla labilità dei sentimenti carnali, sulle paure dell’instabilità emotiva, sul bisogno di evadere dalla società conformista: insomma, c’è molta carne al fuoco in poco meno di ottanta minuti di densa e ostinata potenza. Strutturato in quattro atti, anticipati da musichette ambiguamente candide, fotografato in modo tale da mettere in risalto la sudiceria umana proiettata in un’ottica di interna asfissia, il film più che una goccia d’acqua è un acquazzone estivo di improvvisa e ruvida gravosità che si staglia contro il rovente falò delle vanità allestito da Leopold, vero perno della storia e collante fra i vari personaggi.

 

 

Se nel primo atto è Leo a sedurre Franz, il quale si lascia sedurre (dunque il rapporto è ancora bilaterale, per certi versi), nel secondo Franz è diventato zerbino amoroso di Leo, che si approfitta di lui anche sul piano domestico; nel terzo atto entra in gioco Anna, ex di Franz, e i due finiscono a letto pensando ad una vita dopo Leo; ma ecco che nel quarto spunta anche Vera, transessuale ex di Leo, con cui intrattiene un rapporto sessuale assieme ad Anna, fino a quando la stessa Vera si renderà conto dello squallore dell’ex marito assistendo al suicidio di Franz. Sconcertante il modo in cui Leo schiva e rifiuta il cadavere di Franz.

 

 

Proprio Leo, essendo il perno della storia, ha una valenza multipla e unica: tutti dipendono da lui perché è plasmatore e manipolatore di personalità, avendo l’obiettivo di assoggettare ogni personaggio, di rigirarseli a suo piacimento pur di essere importante per qualcuno: ovviamente è un’importanza funesta, perché, alla fine, Franz muore, Vera non riesce ad usare dall’angoscia claustrofobica di quell’appartamento, Anna si abbandona a sé stessa. Ma a Leo non interessa: per usare un’espressione triviale, ma azzeccata, egli fa il cavolo di comodo suo. Con spruzzate di cinico umorismo di gelida espressione, Ozon imbastisce con raffinata perversione un dramma brillante e cupo, un gruppo di anime tormentate (affidato ad un complesso di attori eccellente in cui spicca con raffinata violenza Bernard Giraudeau) in un interno alla ricerca di un’autodistruzione forse non voluta, ma inevitabile. E il ballo dei quattro è memorabile.

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