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La stanza del figlio

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su La stanza del figlio

di barabbovich
8 stelle

La morte improvvisa del figlio adolescente (Sanfelice) di un'affiatatissima famiglia di Ancona lacera i legami tra madre (Morante), padre (Moretti) e figlia (Trinca). Lui tenta di razionalizzare il dolore, va alla ricerca di un capro espiatorio (il paziente che, il giorno dell'incidente del figlio, lo ha chiamato per un'urgenza), si sfinisce nella corsa e nelle emozioni surrogate da lunapark, fa congetture su quello che avrebbe potuto essere, decide di abbandonare - almeno momentaneamente - la professione di psicoterapeuta, sentendosi incapace di aiutare il prossimo. Sua moglie Paola scatena il suo dstrazioolore in pianti dirompenti e acuti. La loro figlia quindicenne soffoca il dolore nello spazio chiuso di una camerino. Un viaggio catartico, fatto per accompagnare una fidanzata del figlio conosciuta dopo la morte di quest'ultimo, darà forse nuova serenità alla famiglia. Con La stanza del figlio, Moretti cambia pagina: lo stile grottesco e marcatamente autobiografico dei suoi film precedenti lascia spazio ad una fiction che affronta di petto il dolore, senza sbiadirsi in un corrivo piagnisteo da prefiche. Eppure, la cattiveria con cui tratta i suoi personaggi, a cominciare a quello di Giovanni che interpreta lui stesso, è la medesima dei suoi film precedenti: il dolore - è questa la tesi del film - divide, contrariamente a quanto non suggerisca il luogo comune. La famiglia-modello va in pezzi, il marito non divide nemmeno più lo stesso letto della moglie. Atteso ad una prova di autentica maturità espressiva, Moretti va ben oltre i migliori auspici: regia calibratissima, eccellente direzione degli attori, sceneggiatura (scritta con Linda Ferri e Heidrun Schleef, la sceneggiatrice "preferita" di Calopresti) di rigore euclideo, le perle di qualche citazione sonora (su tutte, By this river, di Brian Eno). Una prova che - se ce ne fosse bisogno - collauda definitivamente le capacità di Moretti, portandolo definitivamente nell'empireo dei maggiori registi italiani di tutti i tempi. Premio David di Donatello quale miglior film e Palma d'oro al Festival di Cannes, 23 anni dopo L'albero degli zoccoli di Olmi.   

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