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La chiamata dal cielo

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La chiamata dal cielo

di obyone
7 stelle

Zhanel Sergazina, Abylai Maratov

Call of God (2022): Zhanel Sergazina, Abylai Maratov

 

Venezia 79. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.

Due anni fa moriva a Riga il regista Kim ki-duk. Poche sono le certezze riguardanti il suo ultimo periodo di vita: la data della morte e quanto riportò la stampa in seguito al decesso.

 

"Kim Ki-duk era arrivato in Lettonia il 20 novembre probabilmente per acquistare una casa nella località marittima di Jurmala ma non si era presentato all'incontro. Successivamente, i suoi colleghi avevano iniziato a cercarlo negli ospedali (Repubblica)"...

"Ma non è tutto oro quello che luccica: il regista e stato infatti travolto dall’onda del #MeToo. Diverse attrici si sono fatte avanti e lo hanno accusato di violenze e molestie. Una delle attrici in questione ha affermato che Kim l’ha costretta a recitare scene di sesso non previste dal copione e picchiata ripetutamente sul set del premiato film Moebius (2013) prima di sostituirla con un’altra attrice. I pubblici ministeri hanno ritirato l’accusa di abuso sessuale per mancanza di prove, ma hanno multato Kim al pagamento di 5mila dollari per aggressione fisica". (Eco internazionale)

 

Dopo iI processo del 2017 non vi fu modo per il regista di girare in patria dove, per altro, non godette mai del rispetto dell'opinione pubblica che l'aveva condannato già da tempo per la rappresentazione sin troppo schietta della società coreana. Più amato all'estero che in patria Kim dovette percorrere altre strade per poter lavorare. Accolto da una comunità asiatica piuttosto vivace si recò in Estonia dove produsse il solo "Call of God" prima che la morte se lo prendesse anzitempo l'11 dicembre del 2020. Sullo stato di lavorazione di "Call of God" al momento della dipartita del maestro si produssero numerose e contradditorie informazioni che lo davano "non montato" o "montato in parte". Lo scorso mese di luglio, durante la conferenza stampa di presentazione di Venezia 79, Alberto Barbera fugò, in parte, tali illazioni affermando che Kim Ki-duk aveva lasciato precise indicazioni sul montaggio dell'opera che risultava effettivamente incompleta. A queste indicazioni il regista estone Arthur Weber si sarebbe affidato per completare il film insieme a "colleghi e amici" del defunto regista coreano.

Girato in Kyrgizstan, recitato in russo da un cast di attori dai lineamenti orientali "Call of God" ha le tinte dell'inchiostro più nero e della neve appena caduta. La fotografia dello stesso Kim è struggente come il pensiero di averlo perso per sempre, e la storia fisica e spirituale, tra un uomo e una donna che si incontrano per caso lungo la via, pulsa del recalcitrante incontro tra bianco e nero, tra passione e freddezza, tra amore e odio reciproco, sentimenti estremi che in Kim Ki-duk non ammettono alcuna scala di grigio. 

Nel rapporto travagliato e violento tra uomo e donna c'è tutta la poetica rabbiosa del regista coreano. "Call of God" può evocare dubbi di autenticità e paternità altrove. Sul contenuto non ve ne sono. Ogni perplessità viene rispedita al mittente dalle misteriose chiamate al cellulare che la ragazza riceve mentre dorme, un espediente narrativo che unisce, in un flusso di dati biunivoco, la terra al cielo, quel cielo a cui il regista era a suo modo legato da un spiritualità travagliata. 

 

Abylai Maratov, Zhanel Sergazina

Call of God (2022): Abylai Maratov, Zhanel Sergazina

 

La "chiamata di Dio" mette la ragazza al corrente dei pericoli insiti nel neonato rapporto con il giovane scrittore. La giovane donna può spegnere il telefono e tornare a dormire per proseguire il suo enigmatico sogno o alzarsi e riprendere contatto con una realtà meno ambiziosa ma decisamente più rassicurante.

Uomini e donne sono materia e sangue, un impasto di passioni e istinto che li induce ad infischiarsene di ogni indizio capace di allontanarli dal soddisfare il lacerante desiderio della carne e dell'anima. Con il pretesto di una chiamata divina il regista coreano racconta un amore tossico, crudele ed egoista che si consuma come una fiamma lasciando le fredde ceneri dell'apatia e del rancore. Un amore a cui la ragazza, beneficiaria della salvifica attenzione di uno squillo sovrannaturale, potrebbe sottrarsi se sapesse analizzare i pro e i contro della relazione effimera a cui si concede, una relazione che sembra fin da subito deficere in amore e reciproco rispetto. La passione è tanto forte quanto l'odio che ne prende il posto e conduce allo sfascio della coppia secondo gli spietati e violenti canoni del cinema di Kim Ki-duk.

Il regista coreano indaga sui rapporti di coppia, sull'attrazione fisica che mette la museruola a qualsiasi forma di raziocinio. Usa il pretesto della chiamata per interrogarsi sulle numerose relazioni che finiscono nel peggior modo possibile per non aver "ascoltato" i segnali che avrebbero condotto ad una prudente ritirata. Al contempo analizza la possanza dell'istinto, l'intensità del rapporto e l'assenza di calcoli e regole nel gioco amoroso.

Il racconto spezzato dallo squillo del cellulare porta alla manifestazione dei più biechi istinti, dalla collera alla gelosia. Eppure Kim Ki-duk ci lascia nella speranza di un finale diverso. 

Riavvolge la bobina proponendo il medesimo percorso chiedendosi se sia ancora una volta un amore travagliato il protagonista della storia. Kim ci lascia con una domanda irrisolta e un orgia di colori a testimoniare, forse, un nuovo inizio.

La vita stessa del regista è stata un punto interrogativo privo di risposte efficaci e tranquillizzanti. "Call of God" è Kim Ki-duk. Affascinante e irrisolto come il suo autore. 

L'altra domanda che perseguita gli amanti del suo cinema è "avrebbe disposto le immagini nel medesimo ordine? Ne avrebbe montate altre e tagliate alcune? E ciò avrebbe reso il suo lavoro più tragico e violento? Non lo sapremo mai e ciò lascia una traccia indelebile nella coscienza di chi l'ha visto. E questa malinconica consapevolezza è, forse, il punto debole di questo addio al cinema del compianto maestro coreano.

 

Zhanel Sergazina, Abylai Maratov

Call of God (2022): Zhanel Sergazina, Abylai Maratov

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