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Clockwatchers - Impiegate a tempo determinato

Regia di Jill Sprecher vedi scheda film

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La recensione su Clockwatchers - Impiegate a tempo determinato

di degoffro
8 stelle

Radiografia acuta e tagliente della monotona, precaria e ripetitiva vita delle impiegate a tempo determinato di una grossa azienda americana (c’è una splendida frase detta dalla più intraprendente e ribelle delle quattro protagoniste, Margaret, che sintetizza al meglio la sua condizione: “Io so che potrei scomparire per settimane e nessuno se ne accorgerebbe!”). Il debutto alla regia di Jill Sprecher è il classico esempio di buon cinema indipendente americano. Sceneggiatura matura e calibrata (firmata dalla regista con la sorella Karen), messa in scena sobria e discreta, attrici in magica luce: Toni Collette, al solito magnetica in un ruolo che, alla lontana, per la sua timidezza ed i modi un po’ impacciati ed insicuri, rimanda al personaggio di “Le nozze di Muriel” il film del 1994 che le ha dato una certa notorietà, l’ottima Parker Posey già all’epoca una delle icone del miglior cinema indipendente, la brava Lisa Kudrow abile a divincolarsi dal successo di “Friends” rivelando un prezioso e non preconfezionato talento comico, come confermerà anche il successivo “The opposite of sex” - ed è curioso che la sua compagna di set della serie Tv, Jennifer Aniston, abbia girato un film dai temi analoghi ma più orientato alla farsa grottesca come “Impiegati…male”. Il film è uno studio attento, brillante e per nulla scontato delle spesso spietate, sospettose ed alienanti dinamiche della vita d’ufficio in cui “l’unica vera fatica è quella di sembrare impegnata anche se non fai niente” perché “bisogna ammazzare il tempo in attesa che succeda qualcosa.” Forse a tratti l’opera, per citare un altro dei suoi molteplici dialoghi da appuntarsi, vive “troppo in punta di piedi, con la paura di farsi notare” (viene detto a Iris da una chiromante che le legge la mano) e la vicenda dei furti negli uffici mi pare che, nella seconda parte, tolga mordente e respiro, così come è superfluo l’episodio dell’infatuazione di Iris per il suo responsabile che non la riconosce per strada e nemmeno ricorda il suo nome quando la ragazza gli chiede di firmare per lei una lettera di raccomandazione scritta per l’amica Margaret: ma sono piccoli difetti che non inficiano il risultato complessivo di un film capace come pochi altri di trasmettere in modo palpabile la strana e triste sensazione che provano le ragazze protagoniste, ridotte a “una specie di squillo dell’azienda” a domandarsi se quello che fanno ha un senso e costrette a “galleggiare nella vita senza essere collegati a niente e a nessuno”. E in ogni caso è molto meglio un’opera sussurrata, pacata eppur incisiva, sincera, densa di umorismo e malinconia, ricca di personaggi autentici e umani che i tanti film che gridano a squarciagola senza dire nulla. E poi basterebbe la magnifica considerazione finale di Iris sul fatto che “tutto è a tempo determinato” per giustificarne la visione. Il lato riflessivo, realistico e anche un po’ cattivo del più superficiale “Dalle 9 alle 5 orario continuato” con Jane Fonda. Da vedere insieme a “Nella società degli uomini” dello stesso anno, esordio al vetriolo di Neil LaBute che osserva da un’altra prospettiva la spesso crudele e cinica realtà aziendale. Jill Sprecher ha talento e lo confermerà con il successivo, delicato ed intenso, “Tredici variazioni sul tema”. Premiato al Festival di Torino.

Voto: 7+

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