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Clerks III

Regia di Kevin Smith vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Clerks III

di Souther78
6 stelle

Quasi come Amici miei, si chiude qui una saga con più amarezza che ironia. Le risate scanzonate cedono il passo all'età che avanza, alla sconfitta dei sogni e a una realtà che disillude. A sorpresa, più dramma che commedia, questo ultimo capitolo delude per certi versi, ma stupisce per altri. Da vedere, ma solo dopo gli altri due, per capirlo.

Terzo e ultimo capitolo di una saga non proprio convenzionale, in cui ogni atto è un po' a sè stante. Il primo, totalmente in sordina in Italia, girato in bianco e nero, e opera primissima di Kevin Smith, è una sorta di autobiografia, mentre il secondo, non a caso non più ambientato nel negozio dove il regista aveva lavorato, innova, trova il colore e gira attorno alla storia d'amore. Clerks III torna, per così dire, alle origini, e si presenta come metacinema. 

 

Non siamo nella trilogia dei "before" di Linklater, ma anche qui i personaggi invecchiano come i loro interpreti: nella prima, di 9 anni per volta, ma nel nostro caso addirittura di 12 al primo giro di boa, e da ultimo ben 16. Anche l'autore/regista sembra accusare il tempo che passa, e, così, quella trama un po' confusa e però scanzonata degli esordi ha fatalmente ceduto il passo a toni assai più crepuscolari. Perfino troppo, vista l'età non proprio avanzatissima. Intendiamoci: tutti i Clerks sono imbevuti di retrogusto amaro, poichè amara è la riflessione esistenziale che li produce. Qui, però, l'atmosfera della rimpatriata cede ben presto il passo al viale dei ricordi, alla nostalgia pura e perfino alla disperazione.

 

Sarebbe arduo affiancare Smith a Catullo o Petrarca, eppure sembra quanto di più affine alle loro opere possa produrre una società come la nostra, che affida ormai soltanto a film e serie la propria cultura, e naviga in una mediocrità che insegue idoli effimeri, che non vanno al di là di saghe cinematografiche di un paio di decenni prima.

Così, il moderno Odi et amo di catulliana memoria qui si incarna e declina nell'amore-odio verso il Quick Stop, che rappresenta il luogo da cui fuggire, ma pure quello cui tornare continuamente. Perchè, in fondo, i luoghi della gioventù sono spesso custoditi in un posto speciale, e per quanto possiamo allontanarcene e ascendere, rimarranno per sempre legati all'età delle emozioni, delle passioni, dei sogni, dei desideri...  spesso più intensi delle conquiste, che presto sfumano nell'abitudine sottraendo la magia di ciò che è inarrivabile. Così, anche Smith, asceso all'eliseo delle star di Los Angeles, ricorda con affetto e nostalgia quel "buco" da cui tutto è partito. Come un novello Petrarca, quindi, il nostro si divide tra la passione per la carriera da cineasta e la rimembranza di una stagione da commesso.

 

Clerks III riprende da dove il capitolo precedente aveva lasciato, ma i toni sfumano quasi immediatamente sul cupo: in Clerks II tutto era stato scanzonato, ottimista, e perfino romantico. Ora l'ironia sembra quasi un tributo alla saga, o lo zuccherino per far inghiottire la pillola amara: si ride molto più di rado, e meno. Si scrive "commedia", ma si pronuncia "dramma": fatta questa debita correzione, il giudizio complessivo può senza dubbio elevarsi, poichè ci si commuove e si riflette assai più di quanto si rida. 

 

Una vena di nostalgia ulteriore nasce dall'accostamento tra personaggi e attori: entrambi sono invecchiati "male". La moglie di Kevin Smith, alias Emma, è irriconoscibile e decisamente imbruttita e visibilmente invecchiata. Dante e Randal, il primo in particolare, da quasi quarantenni capaci di impersonare senza problemi dei 33enni, sono ora degli ultracinquantenni tutt'altro che hollywoodiani. Il buon Elias, da 25enne che interpretava un 19enne magro e impacciato, si è trasformato in un ultraquarantenne bolso e appesantito, del tutto irriconoscibile. Sarà un caso che l'unica che non sembra essere invecchiata sia anche l'attrice più affermata (la Dawson)?

 

Più che inventare o aggiungere, qui si (auto)celebra, si ripercorre, analizza, ripete, emula, cita, reinterpreta, spiega o addirittura replica quanto già fatto. Buona parte del film potrebbe tranquillamente essere un documentario, o un "dietro le quinte" dei primi due capitoli, e la voce narrante alla fine dei titoli di coda chiarisce perfettamente queste intenzioni.

 

Sembra, insomma, che Smith abbia voluto sì sfruttare la popolarità della serie, ma anche renderle un sincero tributo, in una sorta di sessione psicanalitica volta a tirare le somme di una vita.

 

La parabola di Dante non potrebbe chiudersi più amaramente: era arrivato, come lui stesso sottolinea, "a tanto così" dalla realizzazione del sogno, ma ha perduto la sua occasione, e non ha potuto fare altro se non vivere nel ricordo, nella disperazione e nel rimpianto. Il finale, che ricorda un po' Una gita scolastica di Pupi Avati, non lascia speranze nè al protagonista, nè alla saga: è la fine di tutto, e il ricongiungimento è possibile soltanto nell'aldilà. Una vena romantica e perfino poetica, che però stride nettamente con il registro dell'opera, che finisce appunto per risultare dicotomica: divisa tra il dover far ridere a tutti i costi, e il commuovere. 

Rimane l'amaro in bocca, specie a chi, come il sottoscritto, aveva cullato negli ultimi 16 anni il ricordo di un film a tratti esilarante, scanzonato e audace, andando - di quando in quando - a recuperarne qualche spezzone con i dialoghi più sferzanti, solo per riderne ancora e ancora. E dopo 16 anni - è innegabile - ci sarebbe piaciuto ritrovare Dante e Becky "felici e contenti", magari a riflettere come Hawke-Delpy (ma in chiave più comica) sull'evoluzione della coppia e del mondo circostante, lasciandoci qualcosa su cui meditare, anzichè una vuota tristezza per l'amara sorte dei personaggi che avevamo tanto amato. 

 

In generale il giudizio tecnico non può dirsi assai positivo, poichè gli attori sembrano in generale stanchi, affaticati e poco convincenti ed espressivi (a eccezione dei finti provini delle star). La trama, tutto sommato, ha i suoi pregi, ma anche alcune grosse lacune, a partire dall'affidarsi eccessivamente alle citazioni autoreferenziali nella parte centrale. La fotografia non può certo dirsi degna di memoria, anche considerato che la larga maggioranza delle scene è limitata a 4 mura, e fuori del negozio inquadrature e immagini sono quasi televisive. Le musiche del capitolo precedente erano decisamente una spanna sopra. 

 

 

Bilancio.

Sicuramente un film da vedere per chiunque abbia visto i due precedenti, e comunque difficile (impossibile?) da apprezzare, se non li si conosce. 

Aspettative deluse quanto alla commedia, erede e di chiusura di una serie dissacratoria, ma in parte compensate dall'inattesa virata all'introspettivo. Una simile "chiusura" sarebbe sembrata più accettabile in un ipotetico quarto e ultimo capitolo, magari tra un'altra decina di anni, anche perchè questa drammatica e improvvisa sterzata dal sentiero fin qui tracciato spiazza e disillude, ma, soprattutto, spezza proprio quel qualcosa che aveva trainato e riempito il capitolo precedente. Questo amaro epilogo sembra rispecchiare una realtà che, in questi 16 anni, è evoluta da quello che sembrava l'happy ending (almeno per la società occidentale), in cui amore e passione potevano ancora trionfare, all'investimento da parte dell'ubriaco che porta devastazione e afflizione, fino al punto in cui l'unico posto in cui rifugiarsi è... il passato.

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