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Il sol dell'avvenire

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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stefano1488

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il sol dell'avvenire

di stefano1488
8 stelle

Moretti è sempre stato un regista che ha polarizzato più di quanto sia stato capito. Amato, persino idolatrato da alcuni, anzi da molti; detestato, persino odiato, da molti altri, probabilmente più numerosi dei primi.

I motivi sono diversi. E' difficile inquadrare un regista profondamento autonomo e originale, che interpreta la realtà in un modo spesso anticonvenzionale, sempre provocatorio, talvolta addirittura profetico, e che si muove costantemente su un doppio binario. Da un lato c'è il piano delle delle sue vicende personali, del suo punto di vista sulla vita, sulle cose e sul mondo, della sua sensibilità, di quello che gli succede (le relazioni affettive, le amicizie, la carriera, la nascita di un figlio, la malattia, la militanza politica, lo sport e quant'altro); dall'altro c'è il piano della vita pubblica o, più correttamente, della dimensione pubblica della vita privata. Moretti è entrambe le cose: un regista personale e, al tempo stesso, emintenemente sociali, anzi politico; è un regista che salta continuamente, ma non arbitrariamente, da un piano all'altro, in modi talvolta neanche facili da capire. In quasi tutti i suoi film il suo sguardo è profondamente personale e, al tempo stesso, prettamente politico. Il tutto è, inoltre, condito da abbondanti dosi di umorismo, di ironia, persino di sarcasmo, da considerazioni leggere e persino pop (pensiamo a quando, in "Caro Diario", Moretti parlava in maniera quasi estatica di Jennifer Beals, con toni da fan adolescente) a filippiche quasi moralistiche su vari argomenti che magari neanche ci si aspetta, da idiosincrasie e manie. Se ne potrebbero citare tante in quasi tutti i suoi film. Eppure Moretti non è un "fritto misto" cinematografico: tutti questi elementi interagiscono fra loro ma non si mescolano, non si confondono, non diventano un tutto indistinto e mantengono tutti una loro individualità, una loro coerenza.

I detrattori di Moretti non cambieranno idea dopo aver visto questo film; credo che i ranghi degli estimatori di Moretti si assottiglieranno. Coloro che persisteranno, si sentiranno, a loro volta, rafforzati nelle loro convinzioni. L'elemento centrale del film, a mio parere, è che la felicità (parola grossa, ma si fa per capirsi) non ha una dimensione solo privata, né solo pubblica: sono due facce di una stessa medaglia. Il sol dell'avvenire non è solo quello di una visione progressiva, e progressista della società (che, per Moretti, è quello, in senso lato, socialista, che per lui in Italia è stato in gran parte interpretato dal PCI); ma anche quello privato, di una vita in cui "due o tre princìpi bisognerà pure averli" e che, privatamente, ci spinge ad andare verso gli altri, ci spinge a farlo anche in una dimensione collettiva. Il famoso aforisma dei cioccolatini sulle ragioni del cuore che la ragione non conosce si potrebbe applicare, opportunamente modificato, anche a questo film: c'è una dimensione privata del politico che la politica non conosce, e una dimensione poltica del privato che il priovato non conosce, perché esse, lungi dal nuocersi a vicenda, si completano, si arricchiscono l'una nell'altra, sfociano l'una nell'altra. C'è una dimensione politica, pubblica, persino estetica del privato che a esso è coessenziale. Così leggo le polemiche fra il Nanni Moretti Giovanni che insiste sulla rigidità del copione e sulla dimensione esclusivamente politica del rapporto tra i personaggi di Silvio Orlando e di Barbora Bobul'ovà e le obiezioni di quest'ultimo, o sul ragazzo dei primi anni Ottanta che insiste a parlare, e a parlare di politica, restando cieco di fronte ai sentimenti che nascono nella ragazza che ne è innamorata e con cui convivide la militanza.

Tutto questo molti spettatori non lo capiranno e non lo capiscono; lo s'intuisce anche dal tono di certe recensioni negative su questo sito, che ripetono le solite critiche che si sentono fare a Moretti fin dagli esordi: l'autorerefenzialità, la ripetitività, la mancanza di idee; critiche di cui quasi cinquant'anni di carrriera cinematografica variegata come nessun'altra dovrebbero ormai aver dimostrato la stoltezza. In una lo si accusa di essere un dinosauro del Pleistocene, e credo che sia difficile immaginare un complimento migliore, sebbene involontario. Sì: Nanni Moretti, o comunque il suo alter ego Giovanni del film, è un dinosauro del Pleistocene, perché in una società abituata a ragionare in termini mercantili (importantissima e spietata la scena del confronto con i rappresentanti di Netflix e il contrasto con la reazione dei  produttori coreani, così spregiudicati e, al tempo stesso, capaci di cogliere cià che i loro colleghi di Netflix non colgono) o, al massimo reazionari, immagina una realtà in cui tutto si tiene e una vita in cui non soltanto si legano la dimensione privata e quella pubblica, ma che, invece di essere tutta schiacciata sul presente, sulla superficie (il contrasto tra Kieslowski e il giovane regista sul modo in essi usano il cinema per rappresentare la violenza), sul ritmo incalzante (la sceneggiatura che non va bene perché è uno "slow burner"), tiene insieme il passato, il presente, il futuro, in un continuo (si pensi alla scena finale in cui compaiono molti degli attori che hanno avuto dei ruoli nei film di Moretti, fin dagli inizi).

Ma, per avere questa visione complessiva, ci vuole un quid in più, un salto di qualità: è il momento della danza in cui Moretti e il cast si lanciano inebriati, ispirati dalla canzone di Battiato. Il capire che la realtà può essere diversa e può cambiare solo se si riesce a immaginare il cambiamento, a vederla con occhi diversi: i produttori coreani che capiscono il film a dispetto del pessimismo e dei pregidizi del regista, in contrasto con la cialtroneria del produttore francese e con la stolta avidità dei mercanti di Netflix (i cui film sono visti in centonovanta paesi, ma sono omologati e standardizzati come se fossero pensati per un unico mercato), il Giovanni che accetta l'insoddisfazione della moglie, l'amore della figlia per un uomo molto più anziano di lei e che cambia il finale del suo film, l'Ennio che abbandona la rigidità del dogma e della disciplina di partito per abbracciare il punto di vista di Vera, quello veramente in linea con i princìpi e i valori proclamati, la dirigenza del PCI che dimostra di saper cambiare idea quando è necessario, cambiando (forse) la storia dell'Italia.

E' la vita di ciascuno, ma anche la vita di tutti, tutti insieme: per questo, alla fine, i personaggi del film marciano avanti, con gioia e fiducia. Ciascuno con la sua storia, con la sua personalità, con le sue aspirazioni, con i suoi desideri, e anche con i suoi difetti (il regista  giovane).

Magari non tutti verso lo stesso traguardo, ma tutti in avanti e, almeno in questo senso, verso la stessa direzione: "il sol dell'avvenire".

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