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Laggiù qualcuno mi ama

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Laggiù qualcuno mi ama

di barabbovich
8 stelle

Giusto un intellettuale raffinato come Mario Martone poteva scrivere un saggio in forma di film su quell'attore formidabile che è stato Massimo Troisi, scomparso nel 1994 a soli 41 anni per problemi cardiaci. Già, perché Laggiù qualcuno ti ama è un vero saggio a tesi che, pur con qualche azzardo - l'accostamento forzato del cinema di Troisi a quello della Nouvelle Vague e all'Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud), alter ego di Truffaut - restituisce in maniera compiuta il senso dell'arte registica del comico di San Giorgio a Cremano. Nel lungo documentario (oltre due ore) troviamo i topoi mai banali della napoletanità, il filo rosso sulle difficoltà delle relazioni amorose che congiunge tutte le sue opere da regista (appena quattro e mezza, considerando la coabitazione in cabina di regia con Benigni per Non ci resta che piangere), l'impegno politico nella vita reale che riesce a serpeggiare anche nei suoi copioni (e che diventa palmare ne Le vie del signore sono finite) e, non da ultimo, un'analisi davvero mirabile  sull'universalità dei suoi gesti (l'autocontatto col sopracciglio). Per la prima volta Martone si mette davanti alla macchina da presa, offrendo anche la sua voce fuori campo (uno dei pochi punti davvero deboli del film) e, con l'ausilio di Anna Pavignano (la ex compagna di vita di Troisi che con quest'ultimo scrisse tutte le sceneggiature dei suoi film e che qui ritroviamo nel ruolo di co-sceneggiatrice), assembla materiali d'archivio con quelli che raccontano l'anima fiammeggiante degli anni del gruppo comico La smorfia. A questo si aggiungono le testimonianze di chi Troisi lo ha conosciuto da spettatore. Mancano, dunque, Enzo De Caro, Lello Arena e tanti altri ma ci sono Ficarra e Picone, Goffredo Fofi, Francesco Piccolo e Paolo Sorrentino, al quale dobbiamo acutissime riflessioni sulla lentezza della comicità, mai esplosiva, di Troisi. Una raccolta dalla quale emerge il lato forse meno noto dell'arte (quello registico) dell'autore partenopeo, la musa ispiratrice dei tanti che a lui devono qualcosa.

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