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Saint Omer

Regia di Alice Diop vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Saint Omer

di laulilla
7 stelle

Apprezzato a Berlino quest’anno e successivamente a settembre premiato con due importanti riconoscimenti alla rassegna veneziana, questo film è nelle nostre sale, dove finalmente sembra aver richiamato un numero di spettatori abbastanza alto.

 

Il film ha uno svolgimento da legal-drama: è ispirato a un reale processo per infanticidio, svoltosi a Saint Omer nel 2016, molto seguito dall’opinione pubblica francese, a cui aveva assistito Alice Diop, al tempo giovane documentarista senegalese, che ne era rimasta profondamente turbata.


Tornando a quella passata esperienza, ma volendo creare un film, la Diop cerca di rivivere quel processo attraverso gli occhi di un personaggio di finzione, un alter-ego che un po’ le rassomiglia: è una sua compatriota e si chiama Rama (Kayije Kagame).

Rama è, infatti,  una nota scrittrice e non si occupa di cinema: si era spostata da Parigi a Saint Omer non per documentare un dolorosissimo processo a una madre in preda al delirio, ma perché è impegnata a concludere un saggio sul mito di Medea, che l’editore è in attesa di pubblicare.

 

L’infanticidio, commesso da Laurence Coly (Guslagie Malanga) – madre senegalese e immigrata di seconda generazione che aveva coscientemente fatto morire la sua piccola di soli 15 mesi, lasciando che l’alta marea notturna, a Berck sur Mer, nei pressi di Calais, se la portasse via – riproponeva ancora una volta l’antico mito gettando ombre inquietanti sulla maternità e sulla sua accettazione, ciò che diventa un tema importantissimo del film (che a questo proposito utilizza anche molte scene dell'antico film di Pasolini), ma non l’unico.

 

 

 

 

Rama è incinta da pochi mesi, e in quell’aula del tribunale avverte una segreta e pietosa compassione per l’imputata, come se, identificandosi nel disagio oscuro di lei, si sentisse a sua volta indotta a ripercorrere i momenti del rifiuto della propria creatura.

 

Assistiamo perciò, non soltanto a un legal drama, ma alla lentissima presa di coscienza di Rama, inseparabile dalla propria condizione di immigrata “privilegiata” di prima generazione, figlia di una donna che aveva vissuto la gioia di una maternità frutto d’amore coniugale, molto diversa  dalla maternità di Laurence, frutto della violenza di un imprenditore che l’aveva fatta lavorare, poi, secondo una diffusa consuetudine, voluta per sé, ingravidata, ma, deciso per ipocrisia a evitare lo scandalo del divorzio, non l'aveva sposata, né aveva riconosciuto la piccina.

 

L’avvocatessa (Aurelia Petit) a cui era affidata la difesa di Laurence, si era impegnata per individuare le ragioni delle contraddizioni dell'imputata, donna attraente e colta, amante della cultura razionalistica occidentale, ma incapace di illuminare l’oscura spinta distruttiva che l’aveva indotta alla soppressione della propria bambina..

 

Si intrecciano nel film due temi: quello dell’accettazione della maternità da parte delle donne e quello del disagio della seconda generazione degli immigrati nel nostro mondo, apparentemente accogliente, ma incapace di utilizzare gli strumentii culturali, che pure esistono, per arrivare, almeno intuitivamente, a comprendere le ragioni di fatti ritenuti  inspiegabili.

 

Non sappiamo come si sia concluso quel processo, ma l'arringa della difesa aveva toccato profondamente non solo Rama, ma molte donne presenti fra il pubblico e forse anche fra le giurate.

 

 

Alcune mie personali considerazioni sul film

Il film – non fra i più semplici e non sempre chiarissimo nel difficile e complesso gioco delle corrispondenze emotive – richiede molta attenzione e anche qualche riflessione per essere meglio compreso.

Personalmente, credo esista almeno un altro film, che ho visto e recensito (unica e sola) qualche mese fa, che può essere accostato a questo: Una storia d’amore e di desiderio. (2021). Non racconta una difficile maternità – è una storia al maschile – ma una storia sulla seconda generazione degli immigrati, problema col quale oggi, in occidente, cominciamo a fare i conti.

 

Mi permetto di suggerire una bella lettura in proposito:
Alice Zeniter: L’arte di perdere, Einaudi,2018

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