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Dio in cielo... Arizona in terra

Regia di John Wood vedi scheda film

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La recensione su Dio in cielo... Arizona in terra

di scapigliato
8 stelle

È sempre un piacere vedere Peter Lee Lawrence. L’attore tedesco suicidatosi per un male incurabile al cervello è tra le facce più belle del nostro western. Sul suo volto la bellezza dell’adolescenza, lo smacco del destino, la fatalità, il piacere. Qui è un cacciatore di taglie, Arizona, che decide di fare le scarpe al potente e cattivo Styles, signorotto locale che liquida criminalmente i suoi oppositori. Trova aiuto in un burbero allevatore che nasconde un piccolo segreto. Il primo è Frank Braña, finalmente in un ruolo di spessore, il secondo è Roberto Camardiel, uno tra i migliori volti del “vecchio burbero”, a parte quando faceva il losco Zorro in “Se Sei Vivo Spara!”.
Messa da parte la trama, di poche pretese, è il taglio che Bosch dà al film che stupisce. Stringe molto sui bei volti western degli attori e proietta su di loro tutto il perchè di un genere che forse noi europei, italiani in primis, abbiamo fatto meglio di molti americani, suoi ideatori. “Dio in Cielo... Arizona in Terra” non c’entra troppo con il soggetto. Molto di più invece, gli è pertinente il titolo spagnolo “Una Bala Marcada”, “una pallottola segnata”. Infatti al giovane bounty killer viene data da un vecchio amico di famiglia una pallottola particolare, regalo del padre morto proprio per mano di Styles. Le storie si intrecciano e si confondono: Braña è l’assassino sia del padre di Lawrence che del padre della protagonista femminile, ovvero la nipote del vecchio burebro Camardiel. Sentimenti e rancori che si legano stretti tutti intorno ai paraggi del villaggio in cui si svolge la vicenda. Scene en plaine air che coinvolgono i grandi prati laziali, il villaggio Balcázar e gli interni borghesi dove si consumano gli abusi nei confronti dei più deboli. Nel cast anche Carlo Gaddi, sicario professionista di nerovestito, mortuario e molto “black”, con cui Peter Lee ha un duello bellissimo, tra i migliori del genere, in cui il montaggio è il pezzo forte, ma dove anche i volti (Lawrence su entrambi) fanno una parte importantissima: il biondo e il nero, il bene e il male (?), la luce e il buio, il bello e il brutto, il giovane “adolescenziale” e l’adulto “maturo”. Anche Luis Induni, ovvero il piemontese Luigi Radici, presenzia con la sua solita rassicurante paternità fisica, sempre nei panni mai smessi del buon sceriffo, qui soltanto un po’ corrotto e cacasotto. Un buon film, solido, senza sbavature e fronzoli che ne alterino la statura stoica; con un immagine bellissima tra le tante: l’insegna “Law and Order” che penzola cigolante dopo che Peter Lee Lawrence le spara addosso irriverente.

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