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Empire of Light

Regia di Sam Mendes vedi scheda film

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La recensione su Empire of Light

di Gangs 87
8 stelle

L’Empire è un imponente cinema di Margate, sulla costa settentrionale del Kent, in Inghilterra. Attorno a questa struttura dal fascino antico, ruotano diversi personaggi: c’è Hilary donna di mezza età, vicedirettrice e amante del direttore del cinema, Donald Ellis, uomo insoddisfatto e prepotente. Tra gli impiegati di rango minore si lascia notare il nuovo arrivato, Stephen, ragazzo di colore su cui si posano gli occhi e la curiosità di molti. Sarà proprio lui a cambiare le sorti di un destino che sembra ormai segnato.

 

Nell’anno in cui The Fabelman di Steven Spielberg ha emozionato il mondo, il peccato più grande sta nell’aver sottovalutato o, nel caso peggiore, ignorato, la nuova opera di Sam Mendes. Per chi di voi avesse osato farlo, rimediate. Se amate il cinema, quello di una volta, con le sale grandi e accoglienti, con l’odore di popcorn, la moquette discreta che attutisce i passi, i cartelloni luminosi ad indicare il film in programmazione, il rullo della pellicola che gira nel proiettore, non potete perdervi Empire of light, non dovete. Sarebbe il più grande torto a voi stessi.

 

Così il cinema non diventa contorno ma luogo in cui si accoglie. Luogo in cui si celano relazioni clandestine, ci si raccontano i sogni e si infrangono le regole, si calpesta il rispetto. Diventa una piazza emozionale, un posto dove si torna, anche quando la vita ti logora, ti distrugge l’anima.

 

Lo sa bene Hilary, interpretata da una sempre straordinaria Olivia Colman, ingiustamente non candidata agli Oscar (ma dopotutto se la candidassero ogni volta rischierebbe di vincere sempre), che soffre di depressione, che tenta di curare con il litio salvo poi interrompere la cura quando trova l’amore che pensa possa salvarla. E solo lui, solo Mendes ha la capacità di mostrare la depressione umana, nelle sue forme più anguste e travagliate, con quel suo modo sfacciato e composto di rivelarla senza timore, senza maschera, nella sua più spaventosa purezza.

 

Quindi l’Empire è prima una scusa, uno strumento per farci entrare nelle vite dei protagonisti, che alla fine della narrazione si svela per ciò che già era detto nel titolo rivelatorio: l’impero della luce, dove tutti sembrano ritrovare la strada, dove la luce che proietta le immagini sul grande schermo è in realtà un faro per ogni sensibile esistenza.

 

L’ultimo film di Sam Mendes è per cinefili di bocca buona. Mi sono sorpresa emozionata ma felice alla fine della proiezione. Colma di una sensazione di placido benessere e speranza. Come quando Hilary porta Stephen in spiaggia, con il vento che scompiglia i capelli, in quel momento in cui si convince che l’amore la salverà, con quella sua stessa speranza, con la stessa felicità. Ma mentre per lei l’umore gioioso viene spazzato via dall’angoscia della vita che non vuole darle tregua, il mio benessere persiste anche giorni dopo la visione, sana controprova di aver assistito ad un film degno di essere chiamato tale. Peccato che certe pellicole vengano viste da pochi e apprezzati anche da meno.

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