Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917: IO CAPITANO
Sinceramente ero molto curioso e anche dubbioso prima della visione di Io Capitano, perché trattare un argomento come quello della migrazione dall’Africa all’Europa era un trappolone ricco d’insidie che una certa retorica poteva presentare. Sia dal punto di vista dei “Aiutiamoli in casa loro” che “C’è umanità in quei barconi del Viaggio della Speranza”.
Invece prendendo spunto da alcune storie di chi quel viaggio lo ha fatto e quindi lo può pure raccontare, Matteo Garrone ha deciso di fare l’unica cosa che conosce: HA FATTO CINEMA.
Ha evitato di raccontare l’orrore delle guerre e di chi fugge dalla guerriglia urbana, ha evitato anche il punto di vista di chi è veramente disperato e vuole garantire un futuro migliore per i propri figli e la propria famiglia.
Ha scelto di raccontare il sogno di due ragazzi di 16 anni. Due ragazzi di Dakar che sognano di sfondare nella musica, due ragazzi che sognano di firmare autografi all’uomo bianco come riscatto sociale. Sono due ragazzi che vivono felici, indossano le magliette della squadra di calcio dei propri idoli, hanno mamme che li inseguono tirando addosso le ciabatte se fanno gli stupidi, sono connessi col mondo esterno tramite i loro smartphone e quel poco di italiano che sanno lo hanno imparato dai reel sui social o ascoltando la trap neomelodica napoletana.
Se non fossimo in Senegal sembrerebbe di vedere la vita dei ragazzi di periferia di qualsiasi realtà metropolitana che sognano di diventare famosi come Sfera Ebbasta o Lazza o Blanco.
Ragazzi che per realizzare il loro sogno lavorano di nascosto come manovali per raccogliere i soldi che servono per il viaggio che li condurrà al successo e nonostante siano entrambi rispettosi dei sani valori della famiglia, si tappano le orecchie e non ascoltano i consigli sulle insidie che quel viaggio comporta.
Matteo Garrone ha meritato di vincere quel premio al Festival di Venezia perché Io Capitano è soprattutto il film che conferma l’avvenuta maturità registica del suo autore.
In molti ci hanno visto l’altra faccia del suo ultimo Pinocchio nelle gesta di Seydou e Moussa, i due cugini in corsa verso il successo.
Sinceramente io ho trovato tanta Gomorra intrisa di spruzzate di Reality. Come Marco e Pisellino, i due sedicenni intraprendono questo percorso per essere i numeri 1 non curanti del pericolo e del fatto che sia un viaggio senza ritorno. La mafia libica e il clan degli scafisti più che nordafricani ricordano nei modi e nella fisicità i casalesi, la villa con piscina costruita clandestinamente da Seydou insieme a un muratore senegalese che gli fa da padre potrebbe appartenere benissimamente a Sandokan Schiavone, ma soprattutto la scelta di usare esclusivamente il dialetto wolof supportato dalla lingua francese obbliga noi spettatori ad avere quel punto di vista. Di non rimane fuori dal racconto in quanto italiani.
Matteo Garrone evita saggiamente di mostrarci l’orrore di questo cammino con scene di violenza gratuita ma nei momenti più duri usa la poesia che si cela dietro un sogno ad occhi aperti come la bellissima scena nel deserto dove Seydou, educato a rispettare l'umanità, cerca di salvare dalla morte certa una signora che gli ricorda la mamma.
Ma se Io Capitano è quel grandissimo film che è lo si deve principalmente dalla scelta come protagonista di Seydou Sarr (vincitore del premio Mastroianni come talento emergente). La sua trasformazione da bambino a uomo in un solo viaggio è incredibile.
Quel grido finale dove urla “IO CAPITANO” più volte è la speranza di un ragazzo che ce l’ha fatta a raggiungere il suo primo obiettivo non lasciandosi corrompere da tutte le brutture che ha visto durante il suo cammino anzi c’è la fierezza di chi, come veniva anche detto in Schindler’s List, salva una vita salva il mondo intero.
Voto 8,5
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