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Il mostro è in tavola... barone Frankenstein

Regia di Paul Morrissey vedi scheda film

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La recensione su Il mostro è in tavola... barone Frankenstein

di alan smithee
4 stelle

Che pastrocchio questo primo prodotto italiano di un dittico che Paul Morrissey, coadiuvato da Andy Warhol (che alcune locandine come questa qui sopra indicano addirittura come regista), diresse assieme ad Antoni Margheriti (o Anthony M. Dawson), subito prima che "Dracula cerca sangue di vergine...e morì di sete". Titoli orrendi, che cercano forse di imitare lo spirito goliardico e ironicamente e sguaiatamente pazzerello e luciferino del Polanski di "Per favore non mordermi sul collo" (in realtà prodotto di ben altro livello), senza riuscire minimamente a ricrearne lo spirito e l'entusiasmo.

Dialoghi inascoltabili che ci illudono di puntare sull'ironia: quando un imbarazzato e sopra le righe Udo Kier sul finale tenta di riattaccarsi una mano e urla "ma possibile che non ci sia un cerotto qui dentro?" viene voglia più di piangere che di ridere... 

In effetti dopo la trilogia sperimentale ed erotica rappresentata dai notevoli Flesh, Trash e Calore, tutti incentrati sul fisico scultoreo del modello ed allora icona sexy Joe Dallesandro, questa doppia incursione nell'horror bislacco e gore lascia letteralmente perplessi, sia per la costruzione grossolana, sia per i dialoghi goffi, sia per la recitazione davvero scriteriata e senza un timone direttivo degli attori coinvolti: tutte macchiette goffe e ridicole tranne il Joe di cui sopra, che peraltro non ha mai saputo recitare, ma che anche qui, come spesso altrove, non si può dire non ci metta il proprio corpo, sulla graticola imbarazzante e rozza di una ennesima riproposizione, confusa e arruffata, del mito della creazione del mostro in nome del desiderio di creare una razza superiore.

E' questo il fine ultimo del famigerato barone Frankestein, che individua nella razza serba, il modello basico ideale su cui effettuare aggiustamenti utili a formare la specie perfetta. E se indubbiamente i modelli hanno le fattezze de Dalila Di Lazzaro e di Joe Dallesandro (benché quest'ultimo in realtà non c'entri direttamente in questa storia, ma vi sia trascinato un pò rozzamente dagli avvenimenti concentrici ed arruffati che Morrissey cerca di narrarci in una gran confusione narrativa), si capisce o almeno comprende un pò la traccia di base che anima la follia del barone, chiuso nel suo laboratorio, mentre la moglie-sorella trama intrighi per trovare soddisfazioni e piaceri che il marito incestuoso non riesce più a riservarle.

Il resto è un guazzabuglio di effettacci a cui Margheriti ben si presta con un lavoro certo artigianale e a tratti rozzo o gratuito, ma di certo ancora in grado di impressionare gli stomaci più deboli.

In attesa di vedere anche il successivo film che compone il dittico, dedicato questa volta a Dracula, ammetto che la sensazione di imbarazzo ed improvvisazione qui regnano come sentimenti incontrastati, distanziando e allontanando di molto i felici periodi dell'accennato trittico sulla carnalità e la vendita del proprio corpo, ottimamanrte espressi, piu' in immagini che in parole, nella celebre indimenticata trilogia sopra accennata. 

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