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Rumore bianco

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su Rumore bianco

di EightAndHalf
5 stelle

È un film sulla Storia che si è fermata, che si ripete uguale, che è prevedibile perché l’umanità è un meccanismo stupido e rivoltante, che si capisce ma non si ascolta, che ricade perennemente nelle sue stesse trappole, che si perde in insulsi grovigli, che ruota su se stessa. Quindi White Noise ruota su stesso: un’apparente (in)struttura in 3 capitoli, contesto/trauma/dramma, una famiglia/un evento catastrofico/un problema familiare intimo eccessivo; qualche stoccata alla società capitalistica, alla perenne guerra fredda della paranoia, al tentativo collettivo di un “basta che funzioni”, sospeso fra complottismo e ipnosi collettiva; “tutto cambia perché tutto rimanga com’è”; e dunque una storicizzatissima favola crudele di un 900 apparentemente a-storico e fermo. E Baumbach che non si capisce se intanto stia cercando di storicizzare (o di a-storicizzare) quello che è venuto in mezzo fra la pubblicazione del romanzo di DeLillo dell’85 e il 2022: cosa è successo nel frattempo? Cosa ci dice White Noise oggi? Della nostra paranoia, delle nostre zone comfort (il consumismo, le certezze borghesi, le certezze accademiche)? Funziona come allora? Continuiamo ad arroccarci su false illusioni, disinformazione e fumo negli occhi? Sì, che sorpresa.

Per i paralleli azzardati, per i discorsi sulle folle (quella che elogiava Hitler e quella che elogiava Elvis fanno differenza?), per la sua Pop Art mistificatoria, sembra che Baumbach voglia quasi esclusivamente colmare un divario di 40 anni con la suggestione, non con delle idee ma con delle minacce e dei sospetti, degli ammiccamenti non troppo raffinati che alludino e facciano sentire lo spettatore a rischio, spiazzandolo con un vetriolo grottesco che non fa neanche troppo ridere. 

Quindi la domanda è se White Noise sia semplicemente un adattamento disinteressato, fermo al suo 1985, o se ci dica ancora qualcosa oggi. Il problema sostanziale è che ci dice le stesse cose, relativizza tutto, parla molto al presente nel 2022 ma non si chiede il perché e il per come vada bene raccontarlo anche con un romanzo dell’85 perché tanto tutto è relativo. Insomma, se ne sta al sicuro in una paradossale torre d’avorio di acritica surrealtà. Sarebbe accettabile se questo gli consentisse di lasciarsi andare. E invece, problema nel problema, White Noise si lascia andare troppo poco, azzarda fotografie irrealistiche, montaggi ritmati, un finale ballerino, scene ridondanti, ma non è mai libero, riconosci tutto. Questo è coerente? Il film dovrebbe asfissiarci con un ordine impossibile o disorientarci con le sue imprevedibilità? Insomma in più di due ore vogliamo perderci per (tristemente) riconoscerci o assistere a un degenerare prevedibile, e quindi riconoscerci fin dall’inizio e poi lasciare andare il resto in automatico? 

Non si faccia un processo alle intenzioni, ma anche nella resa il risultato è cinema vecchio e vecchiamente disilluso, che spara sulla Croce Rossa e complica dei ragionamenti semplici. A volte è bello come li complica, a volte (più spesso) vedi la scrittura lontana un miglio, mentre ti districhi nella logorrea, ed è lecito non poterne più. 

Che la Storia sia sempre uguale lo sappiamo, sappiamo che la cosa non ci piace (o non sappiamo se ci piaccia, o se abbia importanza), ma che il cinema sia sempre uguale, ci piace? Che non sia fatto di singole ideine senza personalità (dissolvenze incrociate, sequenze oniriche) ma di un corpo coeso, integro, ci disturba? Disturba per caso Netflix? Perché Baumbach, regista che con la camera da sempre scrive e basta, pensa che con la camera sappia ballare? 

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