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La carovana bianca

Regia di Artemide Alfieri, Angelo Cretella vedi scheda film

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La recensione su La carovana bianca

di Peppe Comune
8 stelle

La Carovana Bianca è un circo che installa le sue tende in un terreno alla periferia di Napoli. Ma proprio il giorno in cui si fermano, l'emergenza pandemica mondiale lo costringe a spegnere le luci del suo spettacolo viaggiante. Trascorreranno diversi mesi e per le quattro famiglie che animano il Circo la situazione si farà sempre più difficile. Non perderanno certo l'allegria e la forza di tirare avanti, ma l'attesa forzata diventa un momento di riflessione su ciò che è stato della loro vita “nomade” e cosa potrebbe preservare il futuro per loro e per l’arte circense. Dimenticati dalle istituzioni, trovano aiuto in quanti sono disposti ad offrirgli un lavoro e portargli qualche busta della spesa. Intanto che il Circo è chiuso e sono costretti ad un inusuale immobilità, i circensi preparano la comunione di alcuni dei più giovani e aspettano la nascita di un cucciolo di cammello. “Con l'augurio che lo spettacolo riprenda al più presto con grande successo di pubblico”. 

 

scena

La carovana bianca (2021): scena

 

Una luce indagatrice si muove sorniona in uno spazio non ben precisato. Squarcia il buio puntando l'accento, ora su un insieme di porte e finestre che sembrano dare forma a dei container, ora su animali che quasi certamente sono cammelli e capre. Dirige il nostro sguardo con fare ritmico quella luce, contrappuntata da un intreccio di suoni indistinti che con il loro palesarsi senza un perché subito riconoscibile accrescono la palpabile sensazione di sospensione emotiva. Il fascio di luce continua il suo giro e capiamo di essere tra le cose di un Circo perché, da un improvviso stacco dal nero, ci appare la scritta luminescente “Gran Circus”, semplice e poderosa allo stesso tempo, con una sua nobile fierezza anche. Poi la luce della grande insegna si spegne, perché così è in tempo di Covid. E si accende la vita di questo vasto campo sterrato che ospita lo “Spettacolo Viaggiante” della Carovana Bianca.  

Così inizia “La Carovana Bianca” di Artemide Alfieri Angelo Cretella, un film documentario che con garbata delicatezza si insinua nel ciclo di vita di un Circo aderendo agli sviluppi esistenziali di quanti, ogni santo giorno, nel resistere alla crisi, lavorano per conservarne spirito e dignità. Un film di indagine sociale quindi, che non manca di afflato poetico partecipato, teso a mettere in relazione il qui e ora di quattro famiglie circensi che vivono di circo e per il circo e l'emergenza sanitaria di portata mondiale che li costringe a confrontarsi in ogni istante con il loro futuro più o meno prossimo. 

Parlare di circensi nel bel mezzo di una pandemia vuol dire parlare di persone che sono nomadi per vocazione spirituale ma che per necessità sopraggiunte devono riscoprirsi stanziali. Dare voce a chi si trova nella condizione di vedersi “costretti a chiedere per tirare avanti”, vuol dire ricordare al mondo che esistono forme di marginalità sociale che si fanno specchio preciso della prevalente abitudine a voltarsi sempre dall'altra parte. Rappresentare la vita di un Circo ai tempi del lockdown, vuol dire puntare l'attenzione, non tanto e non solo su di un’arte che in passato ha ricevuto ben altri onori, ma catturare l’immacolata genuinità di artisti della vita che ovunque e sempre fanno emergere la loro vivifica umanità. 

Tutto questo però non fa de “La Carovana Bianca” un film orientato dall'ansia descrittiva di portare su schermo la marginalità sociale in quanto tale, ma un'opera di carattere sociologico che documenta come, in quel vuoto pneumatico generato dall’ emergenza sanitaria, il tempo dell'attesa e i modi in cui tutti gli scompensi emotivi si rendono manifesti tendono a coincidere per nome e per conto di un'integrità umana che va preservata nonostante tutto. E lo fa portandoci dentro l’immobilità del Circo, a contatto con uomini e donne, adulti e piccini, animali e attrezzature di scena, abitazioni povere di spazio ma ricche di calore. A perlustrare spazi che si animano della coeva didattica a distanza e di esercitazioni per lo spettacolo che sarà, di lavori di ordinaria manutenzione e di amore da riservare agli animali, di ondate di allegria e venate di nostalgia. A toccare con mano l’ansia di non vedere un domani per il loro lavoro, a misurare la paura che l’inazione di qualche mese duri per sempre. Ecco, tutto questo fa la sostanza di una tradizione antica che conserva intatta la sua innata purezza. Nonostante le luci si siano spente da mesi sulla sua magnifica attitudine a farsi spettacolo popolare. Nonostante che le lacrime trattenute appena arrivino in compagnia dei ricordi più gloriosi.  

La tecnica cinematografica contribuisce non poco a generare questo composito quadro esistenziale. Si sa che la macchina da presa si mette solitamente a seguire i personaggi quando intende rivelarne qualche verità, qualche segreto, o quando, per ricercate finalità poetiche, nell’organizzazione della messinscena si attribuire un ruolo più incidente alla grammatica dei movimenti. Alfieri e Cretella decidono invece di adottare una regia più discreta, capace di arrivare al cuore delle cose senza apparire invadente, di aderire alla realtà fattuale senza risultare didascalica. La macchina da presa è sempre posizionata alla distanza dovuta, come ad aspettare che i personaggi si palesino da soli nelle inquadrature, in modo che ognuno di loro si trovi più a proprio agio nel riuscire a restituire la verità dei propri sentimenti e lo stato dell'arte delle rispettive aspettative. Detto altrimenti, la regia si rende partecipe della stessa condizione di attesa che domina la sostanza narrativa del film.  Ed in questo attendere che la regia ci porta a conoscere ogni singolo personaggio con fare rispettoso e affatto ricattatorio, coadiuvata da un montaggio che ricama le ellissi narrative in modo da fare del tempo dell'attesa un momento di riflessione intergenerazionale tra chi non sa pensare la propria vita lontano dal circo e chi non ha ancora ben definito che rapporto avrà con la decennale tradizione di famiglia. Fino al bellissimo finale, con un ultima sequenza dal chiaro valore simbolico dove l’artificio cinematografico si incontra con la verginale purezza del Circo. E insieme si prendono lo spazio che resta : per dirci che la speranza di tenere in vita lo spirito del Circo è più forte di qualsiasi avversità. Perché, come dice Verusca“il Circo non morirà mai, per un Circo che chiude se ne aprirà un altro, è sempre stato così. Ma è bello il Circo una delle più belle vite che si possano fare”. Con l’augurio che un piccolo film come questo veda tutta la luce che merita.

Per concludere, credo che meritino di essere ricordate almeno due cose. Primo, "La Carovana Bianca" è stato presente fuori concorso al recente Festival dei Popoli di Firenze ed è attualmente in concorso al Laceno d'oro di Avellino, due tra le più importanti rassegne di Cinema indipendente. Secondo, i due registi si sono fatti promotori di un'azione dai connotati "avanguardisti", ovvero, quella di prendere in comodato d'uo delle telecamere su Amazon per poi restituirle con il reso alla fine delle riprese. Ecco, come dimostra anche la chiave ironica che caratterizza i titoli di testa, la modalità indicata dimostra che questa è una (auto)produzione che ha voluto esistere ad ogni costo, con i tempi e modi che più si addicevano allo spirito del film e alla libertà espressiva degli autori. Evitando, quindi, di accodarsi alle logiche (e lungaggini) produttive delle Film Commission per far emergere in tutta chiarezza una caratteristica chiave del fare Cinema : girare una storia e poi vedere l'effetto che fa.      

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