Espandi menu
cerca
Brother

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

Recensioni

L'autore

AndreaVenuti

AndreaVenuti

Iscritto dal 29 dicembre 2014 Vai al suo profilo
  • Seguaci 38
  • Post 36
  • Recensioni 622
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Brother

di AndreaVenuti
8 stelle

Brother è un film del 2000 diretto da Takeshi Kitano; nona opera dell'autore nipponico (ideato, scritto, diretto e montato dallo stesso Kitano), è il primo film (e l'ultimo) girato negli Stati Uniti.

Kitano porta a compimento questo progetto con l'aiuto produttivo di Jeremy Thomas, conosciuto sul set di Furyo (1983) di Nagisa Oshima.

 

Sinossi: Aniki è una yakuza vecchio stile pronto a tutto pur di difendere il suo padrino, tuttavia lui ed il suo clan d'appartenenza sono usciti sconfitti da una guerra tra famiglie ed il suo destino sembra segnato; si trasferisce illegalmente e sotto falso nome in America dove risiede suo fratello minore ma una volta giunto negli Stati Uniti scopre amaramente come nulla sia cambiato rispetto al Giappone e si prepara a combattere una nuova e letale guerra...

Dopo il road movie solare e quasi fiabesco de L'estate di Kikujiro, una rivisitazione del monello chapliniano ma affrontato con l'umorismo e stile tipico di Kitano, il maestro di Asakusa (quartiere di Tokyo dove tutto ebbe inizio) ritorna allo yakuza eiga con ambientazione esotica (novità assoluta per Kitano) continuando tuttavia a proporre temi stilistici e contenutistici già visti nel suo cinema passato, proponendo quindi un discorso di continuità (altra costante del suo cinema).

Come appena detto il film è girato in America, con Kitano che realizza un tentativo di ibridazione linguistica innovativa dovuta essenzialmente all'irresoluzione di fondo poichè, come confermato dallo stesso regista, il film poteva essere ambientato ovunque  dato che il set americano non ha alcuna valenza strutturale per Kitano. Al regista interessa mostrarci la routine lavorativa di uno yakuza vecchio stile ormai datato per la moderna società, con la consapevolezza di essere destinato ad una fine atroce.

 

I più critici diranno "nulla di nuovo all'orizzonte" ed effettivamente si incomincia ad assistere ad una certa stanchezza nella narrazione (non a caso Kitano abbandonerà il genere yakuza per otto anni); alcune situazioni si ripetono troppe volte e soprattutto sembrano girare un po' a vuoto, in aggiunta anche il leitmotion generale (guerra con le varie organizzazioni/famiglie) è solamente accennato e per nulla approfondito, ad esempio siamo lontani dall'intrigo narrativo che proporrà in futuro con Outrage (//www.filmtv.it/film/42437/outrage/recensioni/923495/#rfr:none).

Il discorso cambia radicalmente sul versante personaggi; la caratterizzazione stilizzata su Aniki è perfetta, un personaggio violento e nichilista tradito da un sitema che ha "protetto" per anni mentre sul resto del cast si poteva fare qualcosina di più (la personalità dei membri della banda del fratello di Aniki è solamente trattegiata) nonostante non sia semplice lavorare su un numero elevato di soggetti.

Dunque per essere critici la sceneggiatura è il punto sul quale si poteva lavorare diversamente (Kitano non ha nascosto una certa insoddisfazione per il risultato finale); ovviamente non si sta parlando di un sceneggiatura frettolosa e nagativa, anzi a breve vedremo alcuni aspetti interessanti, tuttavia non siamo sui livelli di un Sonatine (//www.filmtv.it/film/14168/sonatine/recensioni/933357/#rfr:none) oppure Hana-bi.

 

Continuando con l'analisi, ciò che sorprende maggiormente del film è lo stile tecnico proposto da Kitano; uno stile già visto in opere precedenti del regista ma sempre originale e sbalorditivo a partire dalle prime inquadrature.

il film si apre con un primo piano su Aniki che sembra quasi guardare in macchina con il suo sguardo impassibile ed inscrutabile, ma basta l'inquadratura successiva per ribaltare il tutto: Kitano opta per un dutch angle con un campo totale con il personaggio sul fondo dell'inquadratura il tutto per enfatizzare la sua sofferenza interiore, ormai è un soggetto solo ed emarginato abbandonato dalla sua famiglia yakuza e costretto a trovare asilo in una terra straniera.

Poco dopo l'incipit (Aniki che arriva in America) il regista tramite un brusco flashback ci mostra gli ultimi giorni di Aniki in terra nipponica, sequenza alquanto importante in cui Kitano per prima cosa ci propone un interessante smitizzazione in riferimento alla figura di un capo famiglia yakuza. 

Il boss di Aniki è un anziano signore che si regge a malapena in piedi, oltre ad essere poco sveglio ed infatti farà una bruttissima fine che si poteva (almeno in un primo momento) tranquillamente evitare; il tutto messo in scena abilmente tramite montaggio parallelo (Anikì, che si trova in un locale, s'interroga se il boss sia andato a casa poichè altrimenti rischierebbe la vita ed infatti sarà così).

In questa sequenza inoltre il regista ci mostra anche la polizia seduta allo stesso tavolo degli yakuza, una frecciata che troveremo più volte nella filmografia del maestro.

 

Continuando con lo stile "kitaniano" impossibile non menzionare le frequenti ellissi, oppure le esplosioni di violenza estremamente brutali ma per nulla spettacolari o ancora l'ormai celeberrima alternanza tra gioco e morte.

I personaggi di Kitano giocano tantissimo ed in questo film viene quasi esasperato; pensiamo al gioco dei dadi tra Aniki ed Danny (Omar Epps) poi all'esilerante partita a basket tra Kato (Susumu Terajima) ed altri membri della gang. Scena divertentissima in cui nessuno passa la palla a Kato, nonostante in quel frangente sia l'esponente di spicco dell'organizzazione e soprattutto nel finale si diletta nei tiri liberi, definendosi Michael Jordan ma con scarsi risultati ed infatti viene ribattezzato come il nuovo Shaquille O'Neal (il colosso americano sbagliava quasi sempre i tiri liberi). Infine impossibile non citare la breve sequenza in cui tutti giocano sulla spiaggia, chiaro riferimento/autoreferenzialità ad Sonatine.

Innovativo come sempre anche l'utilizzo del fuoricampo; pensiamo al pre-finale quando gli uomini di Aniki provano ad effettuare un raid contro la mafia [Nagurikomi: ossia la resa dei conti ma il tutto risulterà inutile. Nel corso del film Kitano ripropone tutti gli stilemi del genere yakuza-eiga ma svuotandoli di significato dal Sakazuki -scambio del sakè- passando per l'Irezumi -mettere in mostra il tatuaggio- fino ad arrivare al Yubitsume -taglio della falange-.].

Kitano non ci mostra effettivamente il clou dello scontro, optando per un fuori campo di passaggio e sonoro con la macchina da presa fissa focalizzata sul volto di un membro della gang ormai privo di vita e disteso sul sedile poteriore di un auto, il tutto mentre gli altri si sparano a vicenda e lo si intuisce sia tramite i classici rumori e sia tramite il flash degli spari, riflessi attraverso il vetro dell'automobile.

Una libertà formale senza eguali unita però a momenti "classici", ad esempio molte volte la macchina da presa fissa è posizionata molto in basso quasi a richiamare l'altezza tatami marchio di fabbrica di Ozo. Kitano è un vero maestro di regia.

Valido anche il finale nichilista.

 

Brothers non sarà un capolavoro ma è sicuramente un film interessante diretto ed ideato da un maestro assoluto come Takeshi Kitano.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati