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Brother

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Brother

di sasso67
8 stelle

Il film di Kitano, secondo me, non è brutto come qualcuno ha detto: probabilmente il guaio maggiore è che non dice cose nuove, andando a comporre una summa ad usum delphini (leggasi: ad uso degli americani), del cinema kitaniano e delle sue tematiche. Ci sono sequenze che sembra di avere già visto nei film precedenti di Kitano: le sparatorie, il taglio del dito, le scene in riva al mare. Probabilmente c'era la volontà, all'origine dell'operazione "Brother", di far conoscere Kitano agli americani, pubblico privilegiato per ogni cineasta di ambizioni internazionali, come onestamente ammettono il produttore Jeremy Thomas e il manager di Kitano Masayuki Mori.
La parola brother, fratello, è pregnante nel film: Aniki, il nome del protagonista, in giapponese significa appunto fratello, ed è il fratello che in Giappone salva la vita al personaggio interpretato da Kitano, consentendogli di fuggire in America dall'altro fratello (in realtà un fratellastro) Ken, dove conosce il giovane Denny che egli considera come un fratello (come ammette lo stesso Kitano nell'intervista posta a suggello del dvd del film). E "fratello" è giusto l'appellativo usato dai neri americani per riconoscersi l'un l'altro, come a riconoscersi membri di una "famiglia", che è poi un altro termine fondamentale del film, così come di tutta la cultura mafiosa (sia giapponese che italiana) che il film descrive nei suoi meccanismi. L'altro termine che si ripete in "Brother" è "guerra"; lo schema, infatti, è questo: se accetti di allearti con me, a certe condizioni, sei un fratello, altrimenti le nostre famiglie entrano in guerra. Puoi avere gli occhi a mandorla ed essere un nemico oppure avere la pelle nera ed essere un fratello. Si assiste, nel film, all'incontro/scontro (non a caso il primo approccio tra Aniki e Denny si estrinseca in un'aggressione) tra la tradizione mafiosa con tutti i suoi rituali e il gangsterismo di strada fatto di truffe, risse, spaccio. Non a caso il vecchio yakuza si acquista la stima del giovane gangster truffandolo ripetutamente al gioco, una regola che il ragazzo accetta senza discutere e che, nel finale del film, gli vale la salvezza della vita.
Direi quindi che "Brother" resta un film valido, anche se dà la sensazione di un prodotto da esportazione, epurato da certi elementi più personali che hanno fatto grande il cinema di Kitano (si pensi ai due sposi del successivo "Dolls", derivati dalla tradizione giapponese, artificio poetico notevole ma che indubbiamente appesantisce la narrazione), e trova il suo punto di forza in questo confronto tra la cultura della yakuza con le sue regole ferree ("se il capo dice che il bianco è nero, l'iniziato deve vedere solo nero") e i suoi cerimoniali (le punizioni rituali di chi ha sbagliato o tradito, simili a harakiri e seppuku, l'assurda prova di coraggio di Kato) e la moderna criminalità che non guarda in faccia a nessuno e odia i tavoli delle trattative tra boss. Da questo confronto esce la figura di Aniki che, per non sapere né leggere né scrivere (parla a mala pena l'inglese) scarica il caricatore della propria pistola sui rivali. Ma alla fine, da vero yakuza, sa che deve pagare con la vita.
Kitano, che non ha paura di esagerare con la violenza (terribile la scena delle bacchette nel naso) e con il turpiloquio (la sfilza di parolacce di Denny nel finale è degna del Benigni di "Berlinguer ti voglio bene") è uno dei pochi registi di oggi che vale la pena di seguire sempre, al pari probabilmente di Scorsese, Tarantino, Lynch e Cronenberg (in diversa misura Lars Von Trier, che alcuni detestano cordialmente). (19 dicembre 2004)

Sulla trama

Condannato a morte dalla propria "famiglia", uno yakuza si rifugia in America, a Los Angeles, dove vive, a capo di una banda di spacciatori, il fratellastro Ken. Con a capo Aniki, la scalcinata banda di Ken e del complice nero Denny si conquisterà un proprio territorio, sgominando le bande rivali di giapponesi e messicani. Quando però entra in guerra con la mafia italiana, Aniki sa di andare incontro alla propria fine.

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