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La fontana della vergine

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su La fontana della vergine

di alan smithee
9 stelle

La corruzione dell’innocenza, la tragedia, la perdizione che fa seguito alla vendetta.

In un cupo Medioevo di data imprecisata, un agiato proprietario terriero insiste affinché la sua unica figlia, ancora nubile perla giovane età, si prodighi a portare dei ceri in onore della Madonna durante il giorno della festa ad ella dedicata.

La ragazza, viziata e civettuola, parte in tarda mattinata dopo aver inutilmente indotto la madre a darla per febbricitante.

Accompagnata da una serva rancorosa e gravida, la ragazza si imbatte in tre fratelli briganti, due adulti più un bambino, che la circuiscono, per abusare (i due adulti) poi di lei, uccidendola per impedire di essere scoperti.

Per ironia della sorte i tre finiscono per chiedere asilo dalla rigida notte che si prospetta, al padre della ragazza, che li accoglie inconsapevolmente, munito del più legittimo senso di ospitalità e compassione. Un tentativo maldestro dei due adulti di rivendere il prezioso abito trafugato alla giovane, alla sua stessa famiglia, fa luce sulla tremenda sorte occorsa alla giovane.

Sarà tempo di vendetta, sanguinosa, inequivocabile, spietata e rivolta anche nei confronti del piccolo innocente, nonostante le suppliche della moglie del padrone di lasciarlo vivere.

La mattina seguente, giunti appresso alle rive del fiume ove fu commesso l’omicidio, i genitori affranti dal dolore raccolgono le spoglie della figlia defunta, e dalla sommità ove giaceva inerte il capo della giovane, una fonte miracolosa inizia a sgorgare, come simbolo definitivo destinato a indicare per sempre un luogo di santità ove si compì il martirio di un’anima innocente.

Film culto premiato appropriatamente con l’Oscar nel 1960, ma pure a Cannes con una menzione speciale e ai Golden Globe.

Citato in diverse occasioni, il capolavoro bergmaniano ha ispirato anche cult successivi come L’ultima casa a sinistra, del regista horror Wes Craven, datato 1972.

Emblematica e anacronistica, ma proprio per questo potente ed unica, la rappresentazione dell’innocenza che si manifesta nella vergine vittima designata: una descrizione controversa ma acuta da parte del grande cineasta, che si concentra sulla rappresentazione del particolare stato celestiale della fanciulla, infervorata in una gioia di vivere in cui si confonde inscindibilmente l’ ingenuità di fondo con il capriccio più fine a se stesso: circostanza indefinita ed indefinibile in cui è labile il confine tra la santità che deriva dalla purezza, e la malizia che consegue al fatto di scontare i postumi inevitabili di un peccato originale insanabile.

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