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Il settimo sigillo

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Il settimo sigillo

di Baliverna
10 stelle

E' un film complesso, che bisogna vedere più di una volta; non dico per esaurirlo, ma almeno per addentrarvisi di più e per rifletterci sopra. Il cast è praticamente lo stesso de "Il posto delle fragole", e vi sono pure le stesse fragole nel cestino dell'altro film.
Secondo me la pellicola è essenzialmente una riflessione sulla realtà della morte, inevitabile per tutti, e sull'esistenza di Dio. Il personaggio di Max von Sydow rappresenta secondo me lo stesso Bergman, con i suoi interrogativi e i suoi drammi interiori. Desidera credere in Dio, vi anela, ma non ci riesce. Sente il bisogno di Dio, ma sente anche un impedimento interiore a crederci. Non per questo, però, il suo anelito si sopisce, o getta la spugna per approdare all'ateismo. I monologhi del personaggio su questo tema, e i suoi dialoghi con la morte, sono affascinanti. Ciò che manca nel suo cuore, assieme alla fede, è anche l'amore e la pace interiore. Dentro di sé trova solo aridità e sconforto. Dio sembra essere una realtà assente o irraggiungibile, di cui pure però prova un disperato bisogno. Il suo desiderio di Dio è tale che gli viene in mente l'idea paradossale di chiedere al demonio che gli parli dell'Onnipotente.
Accanto a questo, che è un po' il protagonista, troviamo una rosa di altri personaggi, che sembrano simboleggiare ciascuno un atteggiamento interiore o un tipo di persona: lo scettico, lo spensierato, l'imbroglione, la donna fedele, quella scostumata... La famigliola degli attori girovaghi è quasi un'oasi di serenità in un mondo devastato dalla peste, intriso di superstizione, che onora Dio con le labbra ma non con le azioni. Forse il regista svedese vedeva il cinema come un'isola di pace nel travaglio della vita, dove si sentiva a suo agio.
Nonostante la drammaticità degli interrogativi di cui sopra e l'incombere della morte, il film sembra prospettare alla fine una specie di compromesso, come un modo per affrontare la vita e la morte senza soffrire troppo.
La rappresentazione del Medioevo è quanto mai negativa, caccia alle streghe compresa, anche perché Dio è assente dal mondo. L'umanità si agita confusamente alla ricerca di Lui, ma fa solo disastri. La psicosi delle streghe fu in realtà un fenomeno soprattutto del Seicento, quando dilagò specie nel Nord-Europa, e assai poco dell'epoca delle crociate; in fin dei conti, però, il regista non vuole redigere un film storico, ma cercare di rappresentare interrogativi eterni,  come l'eterna precarietà della condizione umana, e mali umani permamnenti, come la cattiveria senza motivo. Tuttavia l'unico personaggio veramente spregevole è quello del predicatore ladro, che compare a tratti durante il film e disgusta ad ogni passaggio. Gli altri sono, in misura diversa, dei poveretti o delle vittime di situazioni sbagliate.
L'idea della partita a scacchi con la morte, dove questa vince sempre, è geniale. E' un film profondo e forse anche difficile, da capire a poco a poco, che denota tutto lo spessore umano del regista svedese. PS: Il doppiaggio italiano è dei migliori.

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