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Non ho sonno

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Non ho sonno

di Decks
5 stelle

Questa recensione la voglio intitolare così: "Lasciate ogni speranza, oh voi che passate".

Mi sono permesso di prendere e storpiare alcuni passi della Divina Commedia per far comprendere, a chi, come me, avesse seguito con piacere il percorso artistico di Dario Argento, per sottolineare di come esso sia l'ultimo film decente, prima dei disastrosi risultati che verranno; screditando del tutto, la stima nei confronti del maestro dell'horror italiano.

 

Personalmente, quando ne discuto con gli amici o ripenso al regista romano, tendo a suddividere in due parti distinte la sua carriera: dal 1970 al 1990 e dal 1990 ad oggi.

A cosa serve dunque questo preambolo? Per chi conoscerà il regista, sarà di ben poca utilità; ma il mio scopo è quello di indirizzarlo a chi da poco si è avvicinato o ha visto a malapena qualche pellicola del maestro del brivido, così da far capire cosa sia questo film nella mia ottica e, credo, anche per gli altri amanti di Argento: il miglior risultato dal 1990 ad oggi. Una nota positiva, questo è certo, ciononostante, non si sogna nemmeno di scalfire la poetica e la bellezza delle opere facenti parte del suo primo ventennio di lavoro. Da qui si capisce il mio frazionamento, volto ad indicare un discreto risultato, comunque deludente agli appassionati di Argento che si aspettavano ben altro.

 

 

Se fossi conciso scriverei semplicemente che "Non ho sonno" è una carrellata di stereotipi argentiani dal finale discutibile.

Ciò basterebbe a spiegare sinteticamente il mio pensiero sul lavoro di Argento, ma essendo del tutto assente di doti sintetiche, proseguo ad analizzare gli aspetti di questo lungometraggio, partendo da una innegabile verità:

Argento ha perso la creatività, ma non il tocco. In particolare, questo fatto si può notare nei lavori successivi quali "La terza madre", che, malgrado le tantissime note dolenti, è evidente che Argento non ha perso quella classe che tanto lo ha distinto e fatto apprezzare in passato.

Pensiamo all'uso della macchina da presa: uno stile volto a simulare una violenza agghiacciante e sanguinaria in tempi brevissimi; un'arte che, a riprova di ciò basti vedere i numerosi horror fondati principalmente sui jump scare, in pochi hanno saputo emulare.

In questo lungometraggio è espresso ottimamente il gore all'italiana, come oserei definirlo, grazie a delle riprese da maestro del brivido (qui è il caso di dirlo) che riesce a creare sequenze da antologia in un film che purtroppo ha pochissimo da dire.

Basti pensare al piano sequenza sul tappeto in cui appare improvvisamente una testa mozzata; o all'iniziale folle corsa in treno dove spicca tutta quella scaltra ferocia che Argento attribuisce ai suoi killer...

Insomma, la tecnica c'è ed è in gran forma: colpisce, spaventa e utilizza con frequenza quei meravigliosi primi piani su mani, parti del corpo e oggettistiche contundenti o taglienti per tramortire non solo la vittima ma anche lo spettatore.

 

 

Purtroppo, come scritto sopra, ciò che manca è l'inventiva. Per questo non mi vergogno a definire il film in questione come una brutta copia di "Profondo Rosso".

Non pecca sicuramente a livello registico, ma per chi ha visto il film del 1975, si ritroverà una trama che ricalca con poche differenze lo sviluppo narrativo del film sopracitato, lo stesso colpo di scena finale e persino le stesse scenografie di una Torino decadente, con le sue ville imponenti e allo stesso tempo indecifrabili, causa il loro passato.

Ci si sente un po' imbrogliati, infatti, all'inizio ci si illude che l'ennesima filastrocca evocativa e l'espediente del pupazzo siano solo dei riferimenti; poi, non si impiega molto ad accorgersi che la sceneggiatura sta ricalcando pari passo "Profondo Rosso" e giunti a quel finale semplicistico, o profondamente rosso, si sa già come andrà a finire e non ci si aspetta più niente.

L'unico lato positivo nel guardare questo duplicato è forse quello di avere nostalgia del ben più riuscito precedente lavoro, il quale aveva una storia più cupa, più personale e suggestiva di quanto non sia questa caccia all'assassino dal retrogusto mnemonico.

Non ci sarebbe da lamentarsi, dunque, se per lo meno la sua stretta somiglianza con l'opera antecedente avesse portato ad un risultato, non identico, ma simile in atmosfere e sensazioni al film cult di 40 anni orsono.

Invece Argento punta tutto su misteri superficiali e dialoghi banali, lasciando poca libertà alla macchina da presa, che nei rari momenti in cui prende il controllo realizza omicidi di una potenza e attrazione indiscutibile.

 

 

Se però, Argento ha la colpa di non essersi impegnato nel trovare una storia migliore come collante, accontentandosi di ricopiare "Profondo Rosso", anche gli attori peccano di negligenza.

Togliendo Gabriele Lavia, che guarda caso recitava proprio in "Profondo Rosso" in un ruolo pressochè identico, e Rossella Falk, qui nel suo ultimo ruolo cinematografico, che grazie alla sua professionalità riesce a dargli una marcia in più rappresentando adeguatamente la nobile signora immiserita, il restante cast sembra uscito direttamente da una fiction italiana.

L'egregio Max Von Sydow è praticamente sprecato sulla scena e del tutto inutile a fini narrativi; al punto che mi è sorto il dubbio che non sia stata altro che un'aggiunta per tentare di differenziarlo da "Profondo Rosso". Comunque, rimane sottotono e stanco per tutta la durata della pellicola senza avere particolari svolte, in più la sua mancanza è del tutto irrilevante.

Vogliamo poi davvero parlare di Stefano Dionisi, Chiara Caselli e Roberto Zibetti? La loro è una recitazione blanda, inespressiva, monotona e persino svogliata, visto che pur avendo la possibilità di ridoppiarsi il risultato è pessimo, per non dire orrido. RIvolgendomi a chi l'abbia visto, basti pensare alla scena finale dove la tensione è alle stelle e si è costretti a sentire Zibetti che sembra uscito da uno spot pubblicitario di detergenti. 

Il film ne risente molto, proprio perchè questa mediocricità recitativa è pressante e incomoda, rovinando le poche cose buone che possedeva il quindicesimo lungometraggio di Argento.

 

Se però, c'è una cosa in cui "Non ho sonno" supera il suo predecessore sono gli effetti speciali: dobbiamo ringraziare il talentuoso Sergio Stivaletti che grazie alle sue doti, gli omicidi a cui assistiamo sono non solo più reali, ma più crudi.

Con piccoli accorgimenti riesce ad andare oltre ed osare più di quanto non fosse stato fatto su "Profondo Rosso", con dita tagliate, facce sbattute contro il muro e teste spappolate. Stivaetti aggiunge quell'atmosfera splatter che mancava all'Argento del '75; permettendo così di avere una piccola novità in mezzo ai tanti clichè.

 

 

Delude la colonna sonora dei Goblin: sembra che anche loro, come Argento, abbiano perso qualsiasi estro creativo. Anzichè creare qualcosa di completamente nuovo, ma ho l'impressione che siano stati indotti dalle numerose (troppe) analogie della pellicola, danno vita ad una colonna sonora pressochè identica a quella di Profondo Rosso, differenziandosi giusto sulle sonorità, qui sono più metal, ma non collimano così bene con gli eventi su schermo, a volte risultano sopra le righe. Tutto quello che lasciano, è il sentimento di aver assistito ad un doppione mal fatto.

 

Per concludere: ho apprezzato il lavoro di Argento? Parlando oggettivamente la pellicola può piacere ai fan argentiani e, c'è da ammettere, che alcune sequenze davvero magistrali, basti guardare il meraviglioso incipit sul treno. Per quanto mi riguarda, quindi, guardando al passato direi che sono insoddisfatto, ma vedendo la totale caduta di stile avuta in "il Cartaio" o "Giallo" sento di dover valutare questo film come un piccolo ricordo dei bei tempi andati. Diciamo che è allo stesso tempo insufficiente e sufficiente.

Lo definirei un'occasione mancata, causa l'assenza di idee e un cast ignobile, tecnicamente però resta un'opera pregiata, che grazie al lavoro di Stivaletti diventa piacevolmente esagerata. 

 

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