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La morte ha fatto l'uovo

Regia di Giulio Questi vedi scheda film

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La recensione su La morte ha fatto l'uovo

di scapigliato
8 stelle

E' il '68, e se la rivoluzione la fanno soprattutto i tortilla-western di Sergio Sollima con Tomàs Milian, Giulio Questi, che l'aveva già fatta l'anno prima con "Horo Ondo - Se Sei Vivo spara!", la fa invece con il thriller. Difficile da tradurre un film come questo, che non solo è troppo cerebrale e macchinoso, ma ha anche il pregio, o il difetto, di essere anomalo nella sua costruzione sia narrativa che estetica. Lo spettatore non riesce a seguire più di tanto, si alza, magari beve qualcosa o chiacchiera con qualcuno. E' difficile da seguire, ma questa ne è la chiave di lettura. Infatti, se la rabbia del grande Giulio era tradotta col sangue e con la violenza nel suo precedente horror-western (il primo della storia del cinema), qui è tradotta invece con la confusione e con l'ambiguità. Una confusione e una ambiguità anche sessuali, e non solo esistenziali.
Il gioco dell'uomo che ingabbia e che poi è ingabbiato, è una spirale allucinata che prima o poi tocca un po' tutti i protagonisti e non solo l'ottimo Trintignant. Nel film c'è anche un vecchiaccio malefico che dice che l'orrore fa parte della sfera della moralità, e non dell'economia, ecco perchè non condanna l'alterazione genetica dei polli (attualissima più oggi che prima), ma l'ottusità del protagonista. Quest'ultimo infatti conduce una tripla vita, fatta di perversioni sessuali legate ad una voglia di emanciparsi e ricominciare daccapo con stimoli nuovi. Quindi, la voglia di contrastarsi con una società che ci rinnega e ci vorrebbe "alterati" come dei polli, innesca una reazione a catena di fatti allucinati e irrefrenabili che porteranno poi tutti quanti ad un finale tragico. E se Trintignant incarnasse l'orrore di un uomo alieno nella sua società, sarebbe proprio di quello stesso orrore che noi nutriamo il nostro bieco progresso, rappresentato infatti dalla fabbrica di polli. Senza aver visto il finale non si può capire in che senso intendo "nutriamo il bieco progresso", ma basterebbero comunque quattro parole per evidenziare l'enorme contributo cinematografico e culturale del film del grande Giulio Questi: kitch, caos, vita e morte.

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