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Paura nella città dei morti viventi

Regia di Lucio Fulci vedi scheda film

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La recensione su Paura nella città dei morti viventi

di Piace91
8 stelle

A Dunwich, l'impiccagione di un prete apre le porte del mondo dei morti. Questa è una delle armi segrete del film: una trama ordinata, semplicissima e lineare che dà modo a Fulci di creare un mondo intero di orrore e angoscia. Il primo capitolo della trilogia della morte è un film molto diverso rispetto agli altri due, è un film che deve molto al periodo in cui è realizzato: siamo in pieno boom dei filoni zombi e cannibal, lo splatter piace e il gore deve trovare nuovi muri da infrangere. Per queste esigenze commericali (ma anche artistiche, in fondo), Paura nella città dei morti viventi è un prodotto molto interessante, che sa fondere momenti di puro terrore alla più estrema macelleria messicana, così come la tensione di natura esoterica ai più classici stilemi macilenti da zombi movie italiano. 

 

Questo è da ricondursi al comparto tecnico, gli storici collaboratori di Fulci che danno quel qualcosa in più in ogni produzione. Partendo dalla regia dello stesso Fulci, essa è in una parola adeguata, mai un eccesso: gli zoom quando servono, i movimenti quando sono congeniali a un climax di inquietudine e paura; è da questo sottostare all'esigenza che prendono vita sequenze memorabili, non dal cercare l'inquadratura figa a tutti i costi. La fotografia di Salvati è come sempre professionale (l'interno della bara e le apparizioni del prete sono fotografate al meglio), così come il montaggio di Tomassi, il quale ebbe la grande idea del finale aperto in dissoluzione, cosa che conferma ancora una volta quanto conti avere collaboratori validi sul set. Lo impareremo, nostro malgrado, con alcuni degli ultimi lavori fulciani.

 

Ciò che però ti fa restare realmente impietrito è quando la bravura dei tre di sopra incontra la maestria di Giannetto De Rossi agli effetti speciali. Le sequenze gore sono impressionanti. I cervelli strappati e le interiora divorate dai vermi sono solo la base, il picco lo si raggiunge con l'ormai iconico pianto di sangue ("omaggiato" da Tarantino) e il rigurgito di budella della povera Daniela Doria, costretta, almeno per i primi frame, a sputare fuori veri intesitini di capra sanguinolenti. Quello che molti critici dell'epoca apostrofavano come una ricerca malata di effetti ributtanti non è un percorso fine a se stesso, ma è intelaiato nella ricerca di un'ossessione, nella creazione di un incubo costante e senza via d'uscita.

 

Per questo, Paura non è un banale film di morti viventi, come ce n'erano tanti ad affollare le sale nel 1980, non è Zombi Holocaust (per quanto abbia un certo fascino anche lui), è una pellicola che sa creare una via nuova tra sangue ed esotersimo e che ti sa condurre con la pazienza necessaria in un inferno che mischia Lovecraft al teatro del disagio di Artaud, che Fulci tanto amava. 

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