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Babylon

Regia di Damien Chazelle vedi scheda film

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Leo Maltin

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La recensione su Babylon

di Leo Maltin
6 stelle

Visto in lingua originale

Di ritorno dall’allunaggio (First Man), alla quinta regia Chazelle, con foga infantile e torrenziale, vomita addosso agli spettatori una gargantuesca e fetida hairball (il sogno americano sbranato), mostrando quanto Hollywood sia non solo fabbrica di sogni ma anche e soprattutto baraonda, tritacarne senza etica, fogna e bordello, “un tempio del sesso, con i suoi dei, i suoi carcerieri e le sue vittime” (Jean Cocteau), “la più strana tra le combinazioni di contrasti. Stupida e geniale, corrotta e puritana, divertente e noiosa” (Oriana Fallaci).

Sulla scia della bava schiumante e rovente dell’esplicito dittico letterario di Kenneth Anger Hollywood Babilonia, il regista affastella, più o meno mascherandoli (quasi sempre deducibili agli occhi del cinefilo), nomi (i personaggi interpretati da Brad Pitt, Margot Robbie e Tobey Maguire ricordano a grandi linee l’attore John Gilbert, l’attrice Clara Bow e il regista Tod Browning) ed eventi reali o verosimili rivisitati (lo “scandalo Fatty Arbuckle”, i festini a luci rosse, il re-enactment del primo bacio lesbico “ripreso” dal futuro Marocco strenberghiano) per offrirci una cupida rappresentazione della viziosa fauna disonesta che popola l’abietto mondo del cinema a cavallo tra fine del muto e nascita di quello sonoro: un pretenzioso e violento rotocalco traboccante di gossip, sesso e droga, in cui il selvaggio citazionismo filmico dell’autore è pari alla sua megalomania.

Al netto dell’ormai nota e consueta mobilissima cinepresa, manca la lucida analisi socio-mediatica – potentissima invece in due capisaldi del genere come Il giorno della locusta (1975) di John Schlesinger e Gli ultimi fuochi (1976) di Elia Kazan. Si assiste infatti all’esasperato ma superficiale e sfiancante (189 minuti) trastullo di un enciclopedico senza sarcasmo (a differenza dell’Ave, Cesare! dei fratelli Coen), bieco e spavaldo film-maker, compiaciuto di rimestare nel torbido dell’aneddotica, a cui però interessa più una febbrile decalcomania che rompere il vaso di Pandora.

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