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Himalaya. L'infanzia di un capo

Regia di Eric Valli vedi scheda film

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La recensione su Himalaya. L'infanzia di un capo

di degoffro
8 stelle

Più che un film, un'esperienza. Girato interamente tra le alture del Dolpo, impervia regione a nord-ovest dell'Himalaya, racconta con stile documentaristico ed un'attenzione etnografica la sfida che un villaggio di pastori e contadini deve sostenere per sopravvivere, trasportando periodicamente il sale merce di scambio con il grano di un paese delle pianure. Dopo la morte di suo figlio, il vecchio Tinlé, sospettando della colpevolezza dell'ambizioso Karma, decide di organizzare egli stesso l'annuale carovana di yak per il trasporto del sale, in competizione con Karma, partito quattro giorni prima per la stessa missione con tutti i giovani del villaggio. L'anziano Tinlé raduna una comitiva composta dai vecchi del suo popolo, dal nipotino Passang e dall'altro figlio, ormai già lama, uscito per l'occasione dal convento, dove si dedica con passione, oltre che alla preghiera all'arte della pittura. Tra vette ardite, piste rischiose a picco sul lago, polvere e caldo prima, freddo, neve e valanghe poi, il testardo e autoritario ma anche carismatico e coraggioso Tinlé, seguendo gli dei e aiutandosi con la sua esperienza e saggezza riuscirà nella sua titanica impresa. Sontuoso ed imponente spettacolo diretto da Eric Valli, fotografo e collaboratore di National Geographic Magazine, Geo e Life, nonché autore di una decina di libri sul Nepal e il Tibet dove da oltre vent'anni vive. Il merito di Valli è quello di raccontare un classico romanzo di formazione (l'infanzia di un capo, come recita il titolo italiano), radicandolo nella profonda cultura locale, imperniata sul conflitto tra generazioni, tra tradizioni e ragione. Valli descrive con estrema forza ed avvolgente passione un popolo coraggioso, dignitoso, tollerante. Lo stesso regista parla di "gente che non sa cosa è l'inganno, vive senza maschere, le cui parole hanno ancora un valore. Il rapporto intimo che hanno con le montagne forgia il loro carattere, mantenendo la loro natura intatta ed incontaminata". Immagini di una forza impressionante e quasi sconvolgente, interpreti, quasi tutti esordienti ad eccezione di Lhspka Tshamchoe nei panni della mamma di Passang, già vista in "Sette anni in Tibet", dalla presenza scenica poderosa con i loro volti sofferti, scavati dal freddo e dalla fatica, scolpiti dal vento e dal sole, paesaggi di una bellezza che mozza il fiato, immortalati dalla fotografia prodigiosa di Jean-Paul Meurisse e Eric Giuchard, che fanno della montagna l'autentica protagonista del film, madre-matrigna con le sue leggi, spesso dure e ingiuste, ma inevitabili, amate e odiate, comunque sempre accettate da un popolo che nella montagna trova la sua reale dimensione. Prodotto da Jacques Perrin, poi regista de "Il popolo migratore" (si vede che ha il documentario nel sangue), l'opera di Valli nella sua semplicità è "una accorta mescolanza tra documentario antropologico, racconto di formazione e film di viaggio con cadenze epiche nella 2ª parte" (Morandini). Suggestivo e affascinante, impreziosito dalle incantevoli musiche di Bruno Coulais, una saga ai confini del mondo quasi fiabesca ed irreale, invece profondamente vera e coinvolgente, forse solo un tantino retorica, facile ed eccessivamente romanzata nel finale con l'inevitabile perdono di Tinlé nei confronti di Karma, che lo ha portato in salvo durante una terribile bufera, ed il conseguente passaggio di consegne. Comunque un'opera di prestigio, candidata all'Oscar nel 2000 come migliore film straniero, (ma era l'anno di Pedro Almodovar e del suo "Tutto su mia madre"), campione di incassi nei cinema francesi.
Voto: 7+

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