La recensione su Costa Brava, Lebanon

di alan smithee

4 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

"Smettete di prendere la vita troppo seriamente..."

La famiglia benestante composta da due bei coniugi intellettuali, la figlia quasi diciottenne inquieta e curiosa, l'altra, una bimba di circa dodici anni intelligente e profonda e l'anziana e malata madre di lui, decide di abbandonare Beirut per sfuggire innanzi tutto all'inquinamento urbano, e anche alla corruzione morale che vige nella capitale libanese.

Ci troviamo in un futuro molto prossimo, e osserviamo la nuova vita della famiglia ritiratasi a vivere in una piccola, ma confortevole casa di campagna immersa tra gli ulivi e la macchia mediterranea, godendosi tranquillità e confort che la residenza con piscina offre, all'interno di una tenuta che il padre di famiglia ha ereditato per metà dai propri genitori.

Quello che non sanno, ma scopriranno presto, è che l'altra parte del terreno, ereditata dalla sorella del nostro capofamiglia, è stata da costei venduta ad una società di smaltimento rifiuti che intende stabilirvi il più grande riclassificatore di immondizie do origine francese, donato da questo paese al Libano, e che, almeno in via di principio, assicura lo smaltimento di ogni scoria e la trasformazione degli stessi in materiale riciclabile.

Belle parole, allettanti intenti, ma di lì a poco il paradiso terreno della famiglia ideale si trasforma in in incubo, tra immondizie sparse ovunque, aria mefitica, acqua avvelenata, ed altre amenità degne di pena del contrappasso.

Con il nervosismo che si acuisce, fermenta, e non aiuta a fare unire e creare solidarietà utile ai membri della famiglia, la lotta del piccolo nucleo sopraffatto, provato ingiustamente usurpato da uno stato corrotto e pressappochista, sfocia anche in un dissidio che finisce per incrinare quella unità familiare che sembrava, fino a poco prima, indissolubile.

L'opera prima a livello di lungometraggio della giovane regista libanese Mounia Akl, coinvolge due star indiscusse del cinema mediorientale come sono la regista, sceneggiatrice ed attrice di Caramel e Cafarnao, ovvero la libanese bellissima Nadine Labaki, e l'altrettanto celebre ed affascinante attore palestinese con cittadinanza israeliana Saleh Bakri, ammirato in La Banda, nel Salvo di Grassafonia e Piazza, nel meraviglioso Il tempo che ci rimane di Suleiman, e nel recente suggestivo melodramma a sfondo LGBT dal titolo The blue caftan, visto al Certain Regard di Cannes 2022.

L'opera prima della Akl è volenterosa ed apprezzabile per l'impeto nello scandagliare argomentazioni di forte impatto e portata di grande attualità.

Ma la denuncia, pur animata, condivisibile e piena di passioni, finisce per risultare presto nient'altro che un ricatto narrativo fine a se stesso, ove i personaggi coinvolti finiscono per cedere a derive melodrammatiche che ne sviliscono e rendono scontati i relativi connotati.

Anche i due bravi e famosi nomi citati sopra, non riescono, nonostante il rispettivo carisma, a rendere vitali e non scontati i personaggi un po' neutri e bi-dimensionale che entrambi sono incaricati di interpretare.

E l'esordio di Mounia Aki si rivela così una iniziativa lodevole solo sulla carta, afflitta come appare la sua opera da uno stile di denuncia retorico e piatto che finisce presto per stancare, perdendosi in una lirica di narrazione infarcita di vittimismo e sin troppo puerile indignazione su tematiche sin troppo facili da condannare, soprattutto quando non si è disposti a sviscerare le inevitabili possibili alternative al riguardo e si mostrano solo le spiacevoli conseguenze di una gestione inevitabilmente scellerata del sistema di smaltimento in questione.

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