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Dancer in the Dark

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Dancer in the Dark

di FilmTv Rivista
8 stelle

Una vita infame: Selma, una giovane cecoslovacca emigrata in America, fa l’operaia alla catena di montaggio, vive in uno squallido sobborgo di motorhomes, sta diventando cieca e mette via ogni centesimo per far operare il suo bambino e salvarlo dalla cecità che gli ha trasmesso. Infagottata in vestitini da quattro soldi, con le lenti spesse e lo sguardo sperso di chi non vede quasi più, Björk si arrabatta e viene costretta all’omicidio nell’America appiattita dai colori desaturati che Lars von Trier le ha costruito intorno. La macchina a mano del dogma la insegue, stringe sulla sua faccia e sul suo sorriso che ostinatamente ritorna, non ci risparmia nessun particolare sgradevole degli interni, dell’omicidio disperato (violento, repellente, lungo, come nella vita e come in “Quinto non ammazzare” di Kieslowski), del carcere. E, a tratti, guidata dalla volontà di sopravvivenza di Selma e dalla scelta teorica ed emotiva di Von Trier, si blocca e lascia spazio alle volute ampie e piane del più tradizionale dei generi, il musical: la vita in musica, come ogni tanto ci illudiamo che sia, come non è mai, come solo al cinema può essere. Ogni rumore, o concatenazione di rumori, il battito ritmato di un passo (o di 107 fatidici passi), lo stridio di una macchina, le voci e le “entrate” che si accavallano in un processo, il battito di un treno sulle rotaie o quello sordo e terrorizzato di un cuore, tutto serve a Selma per creare davanti ai suoi e ai nostri occhi il sogno di una vita cinematografica, da “Tutti insieme appassionatamente” (che fa da “guida” al film) a “Sette spose per sette fratelli”, dal modernismo alla Bob Fosse al vitalismo del musical sovietico anni ’50, all’omaggio vivente a Jacques Demy e alle sue “demoiselles” che è Catherine Deneuve, operaia tenerissima, dalla faccia pulita, quasi ringiovanita. In “Dancer in the Dark” (anche il titolo è una citazione minnelliana), ci sono un dolore e un amore enormi, intrecciati appassionatamente nella più impossibile, ma per alcuni anche la più quotidiana delle finzioni: sognare la perfezione del cinema per resistere all’orrore della vita.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 44 del 2000

Autore: Emanuela Martini

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