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Dancer in the Dark

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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La recensione su Dancer in the Dark

di chinaski
8 stelle

L’ amore, per Lars von Trier, è sempre un qualcosa legato ad un sacrificio. Qualcosa di puro al di là di ogni sofferenza e privazione. L’ amore coincide con il donare tutto se stessi, anche a discapito della propria vita.
Ci sono sempre istanze masochistiche nei suoi film, ma forse la natura del vero amore è proprio questa. Soffrire per un bene più grande.
Il sadico invece è lui, Lars von Trier. Che condanna Bjork ad una interpretazione sofferta e atroce, che condanna il suo personaggio ad una fine ingiusta ma inevitabile per il compiersi del suo destino.
Selma (Bjork) lavora in una fabbrica. E’ una immigrata cecoslovacca ed ha un figlio di quasi tredici anni. Selma soffre di un grave problema alla vista e tra poco tempo la perderà del tutto.
Selma ha un grande dono che sarà la sua rovina e la sua salvezza.
Quello di poter sognare ad occhi aperti, quello di poter trasformare ogni rumore in una melodia e da questa melodia far nascere un musical di cui lei è la protagonista. Nei musical, come sappiamo, la vita scorre in maniera perfetta, tra geometrie visive, coreografie e bontà dei personaggi.
Nei suoi momenti più bui Selma cade come in una sorta di trance. E la sua mente crea le musiche che le permettono di evadere dalla realtà per rifugiarsi nel suo mondo fantastico.
In questo film il regista danese scava nelle radici profonde del cinema stesso. Ad un livello formale si riappropria del valore e dell’ importanza della colonna sonora che diventa, finalmente, elemento drammaturgico a tutti gli effetti. La musica nasce dai rumori degli ambienti nei quali Selma si trova. I rumori della fabbrica, quelli di una penna sul foglio, un treno che passa, i colpi cadenzati della sua ultima marcia. Un elemento reale della storia (il rumore) ci porta su un altro piano immaginativo, dove si dischiude la possibilità di una esitenza altra, onirica e piena di speranza.
Von Trier sfrutta le possibilià del suono per staccarsi dal reale e portarci in un nuovo mondo dove le cose vanno a ritmo di musica e tutti sanno cosa fare.
Il mondo del musical, insomma.
Stilisticamente infatti il regista alterna la macchina da presa a spalla per le riprese della vita di Selma con quella fissa per le riprese dei momenti del musical.
Ad un livello contenutisco, invece, von Trier si sofferma sul significato del cinema come strumento illusorio, capace di creare finzioni all’ interno delle quali lo spettatore può perdersi.
La fine del film è atroce. Ma come sempre è innegabile l’ estrema moralità che contraddistingue le opere di questo regista. Il film non avrebbe potuto finire che in questo modo.
Dove alla cattiveria della vita e alle sue ingiustizie si contrappone il cinema con i suoi mondi favolistici e illusori.
Il cinema di von Trier naturalmente cerca di smascherare l’ artifico e attraverso le regole del Dogma cerca anche di riportarlo ad una purezza originaria.
Opera complessa e comprensibile allo stesso tempo.
Amara riflessione sull’ amore, la vita e le nostre illusioni.
Sguardo impassibile e rigidità morale per uno degli autori più importanti dei nostri anni.

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