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Il delitto Matteotti

Regia di Florestano Vancini vedi scheda film

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La recensione su Il delitto Matteotti

di Decks
8 stelle

Un regista come Florestano Vancini, che si è sempre contraddistinto per il suo impegno politico e la sua testimonianza storica, non poteva non dirigere l'episodio che più sconcertò l'Italia nel 1924: l'ultimo passo del governo Mussolini e di tutti i totalitarismi del mondo. L'eliminazione dell'opposizione.

 

Sui libri di storia, la figura di Giacomo Matteotti è fondamentale per spiegare l'avvento della dittatura fascista: è impossibile che qualunque italiano, acculturato o illetterato che sia, non abbia mai sentito pronunciare, a scuola o in qualche discussione, il nome dell'ultimo politico realmente combattivo, che osò ergersi contro una Camera di colore nerissimo.

Non fu solo un intralcio: Matteotti era, ed è, il simbolo di tutto ciò di cui ha paura un regime assoluto. Un avversario che non sta semplicemente a guardare, ma interviene con tutto sè stesso.

Denunciando illegalità e abusi di potere, Matteotti era un pericoloso fulmine a ciel sereno, quella "tempesta" da cui ebbe il soprannome per il suo carattere battagliero e intransigente: una caratteristica, quest'ultima, più unica che rara già allora, e che ai tempi d'oggi è ancor più difficile da trovare, tra politici che vanno di sponda in sponda.

 

Si può mettere in discussione qualsiasi scelta politica di Matteotti, ma di certo non possiamo denigrarlo come uomo: perchè egli fu l'unico ad avere il coraggio e la volontà necessaria dal mettere a repentaglio, non solo il privilegiato posto nella Camera, ma la sua stessa vita; al contrario degli altri membri, passivi e volti solo al preservare la loro comoda poltrona di deputati. Quindi, perdonatemi se ci insisto, ma non è poco.

 

Emblematici sono i due discorsi che Vancini pone rispettivamente all'inizio e alla fine del lungometraggio: discorsi attendibili e con grande rispetto per la Storia, con la s maiuscola; che è necessario riportare qui sotto per mettere in luce, non solo l'importantissimo contesto storico, ma le due forti interpretazioni di Franco Nero e Mario Adorf.

 

Giacomo Matteotti. << Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l’Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all’ordine del giorno dal Presidente del Consiglio per l’atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente >>  

  [...]

<< Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra)Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. >>

 

Infine tocca a Mussolini, che rievoca, con una musica tragica e incalzante quel 3 Gennaio 1925:

 

Benito Mussolini. <<compio un ultimo gesto normalizzatore: il progetto della riforma elettorale. A tutto questo, come si risponde? Si risponde con una accentuazione della campagna. Si dice: il fascismo è un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale, e noi conosciamo la triste storia delle questioni morali in Italia. Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi. In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandavano: c'è un Governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo? >>

 

 

A Vancini, se non si fosse capito, interessa la ricostruzione storica degli avvenimenti: il regista ferrarese pone attenzione più sulla somiglianza fisica che alle psicologie dei protagonisti, denunciando illegalità e soprusi tramite una freddezza di stampo documentaristico. A partire dal rapimento di Matteotti: inscenato magnificamente e minuziosamente sotto tutti gli aspetti. Dal vestiario alla location, per finire su quella Lancia Lambda su cui fu forzatamente fatto entrare il politico di sinistra.

Vancini utilizza spesso primi piani, con tagli nettamente storici, su cui, forse, ci si impunta con troppa ossessività, tanto che il lungometraggio risulta troppo ingessato dalle immagini d'epoca.

La sceneggiatura riprende il più fedelmente possibile i discorsi e i documenti, a noi pervenuti, su quel particolare periodo storico, senza osare conferirgli un proprio stile come avrebbero fatto molti altri registi.

 

Sicuramente ciò che rimane più impresso è il fenomenale cast: Franco Nero rimane pochi minuti sulla scena, ma grazie alla sua perfetta intonazione, dà il giusto spirito agguerrito e fiero di Matteotti, più un immagine che grazie al mento alzato con cui esce dalla Camera, senza vergogna di sorta, rimane impresso nella mente di molti.

Vittorio De Sica dà al pubblico non la sua ultima, ma la sua conclusiva grande interpretazione: Mauro del Giudice è un onest'uomo ingobbito dagli anni, a favore della giustizia e dallo sguardo vispo e determinato.

Ultimo e indimenticabile è Mario Adorf. Il miglior interprete del duce fino ad oggi: la sua interpretazione fa spavento, tanta è la somiglianza fisica, intonativa e nei modi di fare che ricalcano il gerarca fascista; Adorf usa un timbro vocale baritono, mantiene costantemente il mento prominente e i suoi sguardi adirati fanno sì che sembri una reincarnazione di quell'uomo così sicuro di sè, che passava le giornate a enunciare ordini e discorsi dietro una terrazza o una scrivania.

Se lo scopo di Vancini era quello di coniugare spettacolo e narrazione storica, Adorf è il suo successo, il simbolo della riuscita di questo artista.

 

Agile e avvincente, dalle musiche potenti e altosonanti di Egisto Macchi (che non a caso ha firmato quasi tremila documentari) è un ottimo affresco di quell'arroventato periodo politico.

Un po' didattico, ma fedelissimo ed egregiamente interpretato.

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