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Re Granchio

Regia di Alessio Rigo de Righi, Matteo Zoppis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Re Granchio

di axe
6 stelle

Alcuni anziani cacciatori dell'alto Lazio ricordano la storia di Luciano, un popolano che, nella seconda metà dell'800, coinvolto suo malgrado in una vicenda di sangue e tradimento, fu costretto a fuggire nella Terra del Fuoco, in Argentina; qui partecipò alla ricerca di un immenso quanto improbabile tesoro; la prospettiva di possederlo fa perdere la testa ai cercatori, mettendoli l'uno contro l'altro. Diretto da due giovani registi, Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis, co-produzione Italia / Argentina, "Re Granchio" racconta di un uomo deciso a non piegarsi ai soprusi connessi ai rapporti tra le diverse classi sociali del suo tempo, non in nome di un'intera collettività, ma solo per sè stesso. Luciano lavora, ama, soffre, si ribella, ne paga le conseguenze. Luciano vive ed è costretto ad uccidere, nella ricerca di una improbabile redenzione; Luciano, probabilmente, muore, sullo sfondo di una natura splendida e spietata, ricongiungendosi idealmente alla sua amata. La narrazione è divisa in due parti; nella prima, anziani di Vejano, borgo della Tuscia, raccontano del loro concittadino di tanti anni prima, precisando che che non tutto corrisponde a verità; la storia di Luciano, passando di bocca in bocca, prevedibilmente, cambia, e diviene leggenda. L'uomo, un pastore, figlio di medico, era malvisto dai suoi compaesani a causa del proprio individualismo ribelle - fonte di guai per l'intera comunità, sottomessa ad un signorotto - e dell'inclinazione al bere. Taciturno ed impulsivo, Luciano s'innamora, ricambiato, di Emma, ragazza del popolo. Il padre, non volendo concederla a Luciano, la invia presso il castello del nobile locale. Qui la piacente ragazza suscita l'interesse di diverse persone, tra i quali due sgherri del signorotto, i quali tentano di uccidere Luciano, poi le usano violenza e le chiudono la bocca per sempre. Luciano si vendica con il fuoco; per sfuggire alla giustizia è poi costretto a riparare in Argentina. Qui si apre la seconda parte; nell'altro capo del mondo, lo vediamo, travestito con abito talare, unito ad un gruppo di inaffidabili avventurieri, alla ricerca di un tesoro, che giace là dove puntano i granchi, nel loro lungo vagare nelle praterie. Questi uomini avvezzi alla violenza si eliminano tra loro; solo Luciano giunge là dove dovrebbe essere l'oro; in quel luogo, un piccolo lago, chiuso tra aspre montagne, gli appare Emma, nella sua freschezza ed innocenza. E' la fine di un percorso di redenzione, o della vita stessa di Luciano, um qualunque pastore della Tuscia condotto, dalla propria ferrea individualità, nelle sperdute lande degli antipodi ? Degna di menzione la messa in scena. La prima metà del racconto è ambientata tra boscose colline ed abitati di pastori, impegnati nelle loro semplici e faticose attività, in una routine quotidiana cui sono tanto abituati da rifiutare ogni cambiamento. La seconda parte mostra praterie e montagne; foreste e laghi; qui solo persone dure, fisicamente e moralmente, possono sopravvivere. Discreta la recitazione; i registi, per le sequenze girate in Italia, si sono serviti di cittadini del posto, i quali, pur non recitando a livello di attori professionisti, si esprimono in uno spontaneo e convincente dialetto. Gli abitanti di Vejano, vecchia e contemporanea, usano raccontare cantando. La medesima litanìa - un vero e proprio canto religioso - offre la base per parole sempre diverse. Luciano è interpretato da Gabriele Silli, artista poliedrico; Emma da Maria Alexandra Lungu. Il ritmo è estremamente lento. La regià mostra interesse per la rigogliosa natura rappresentata nei due contesti trattati, rappresentata con colori chiari, cui fanno contrasto le sequenze d'interno, molto scure. I dialoghi sono ridotti al minimo; la colonna sonora è molto semplice ma d'impatto. La visione mi ha ricordato "Valhalla Rising" di Nicolas Winding Refn; quell'opera non mi piacque. Avendo vsito "Re Granchio" con uno sguardo più "maturo", posso dire di averlo apprezzato; i due registi raccontano di un uomo qualunque, il quale, grazie alla propria indomìta individualità, riuscì a far parlae di sè per generazioni, trasformando la cronaca in mito.

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