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Drive My Car

Regia di Ryûsuke Hamaguchi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Drive My Car

di laulilla
9 stelle

Per evitare troppi spoiler, nel presentare un film di 187 minuti durante i quali poco accade, mi soffermerò soprattutto su alcuni aspetti della sua prima parte, sapendo che apprezzeremo il seguito se ci affideremo al fluire del racconto e se cercheremo dentro di noi quelle risposte che il regista non può dare.

 

Questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo

 

Si rivela indispensabile per comprendere il film la premessa lunghissima, che precede l'avvio dei titoli di testa: sono passati quarantatre minuti da quando è iniziata la nostra visione.

Ci accorgiamo, infatti, ora,  che quanto abbiamo visto è il tentativo di ricostruire più di vent’anni della propria vita da parte del protagonista Yûsuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), sceneggiatore e regista teatrale giapponese.  È un percorso tortuoso, il suo: è la storia di un amore infinitamente grande, quasi certamente corrisposto, ma è anche una dolorosa duplice storia di morte e di un lutto mai compiutamente elaborato.

Yûsuke Kafuku amava con passionale tenerezza la bellissima autrice televisiva Oto (Reika Kirishima), che, aiutata dalle fantasie che l’orgasmo amoroso ogni notte risvegliava in lei, costruiva poetici e bizzarri racconti, aperti a successivi sviluppi.
Si era creata, fra loro una segreta complicità: I racconti di Oto diventavano la voce registrata sulle cassette che accompagnavano il percorso di Kafuku in auto  – una bella Saab rossa – fra la casa e il teatro. Egli, guidando, le ascoltava traendone ispirazione per le sue sceneggiature, finché imprevedibilmente un incidente aveva interrotto i suoi viaggi.
Oto era accorsa e lo aveva confortato quando, dopo un controllo di routine, al pronto soccorso aveva appreso di un glaucoma all’occhio sinistro: forse sarebbe stato meglio per lui non guidare più. Le sue cassette, adesso, sostituivano per quanto possibile la lettura dei testi ed erano preziose per la memoria auditiva di lui, che meno poteva affidarsi a quella visiva.

 

La mutua collaborazione avrebbe dato infine i suoi frutti: Kafuku era stato chiamato per un'audizione a Hiroshima, dove sarebbe arrivato con un volo. Il breve viaggio fino all’aeroporto, con i suoi bagagli e con le sceneggiature pronte per essere presentate agli agenti teatrali che lo attendevano, poteva farlo da solo, senza grossi rischi. Aveva però dovuto tornare sui suoi passi: l'incontro, inopinatamente, era stato rinviato

Il rientro a casa, senza preavviso, gli aveva riservato un’amara sorpresa: Oto lo stava tradendo probabilmente col giovane attore Takatsuki  (Masaki Okada) che lei stessa, la sera prima gli aveva presentato, in camerino, dopo lo spettacolo. Si era allontanato con la massima discrezione e i loro rapporti erano continuati come prima - né interrogatori né manifestazioni di gelosia avevano turbato il loro  immutato e intenso trasporto amoroso - ma una strana inquietudine si impadroniva di lui, che rincasando, una sera, molto tardi l’aveva trovata riversa sul pavimento, dietro il divano, stroncata da un’improvvisa emorragia cerebrale.

Ancora una morte, nella sua vita, poco più di vent’anni dopo la perdita dell’unica adorata figlioletta, un vuoto profondo che Oto avrebbe voluto "compensare" con una nuova maternità, incontrando la sua ferma opposizione.

Ecco allora rinnovarsi dentro di lui quel dolore sordo e vano, quei sensi di colpa, quei rimproveri a se stesso, triste seguito delle morti improvvise, che tolgono la voglia di vivere.

La morbida voce di lei, attraverso le registrazioni delle cassette era adesso diventata la nuova forma della loro comunicazione, ragione non ultima per respingere la nuova autista, assegnata a lui dagli organizzatori del festival teatrale a Hiroshima a cui era stato invitato per uno Zio Vanja sperimentale, recitato nelle lingue diverse degli attori, compresa quella dei segni.

 

L'autista che Kafuku aveva rifiutato si chiamava Misaky Watary (Toko Miura) ed era molto giovane -  l'età della figlioletta perduta - con una  lunga esperienza, che aveva maturato cominciando a guidare a soli quattordici anni, quando, per riportare a casa la madre alla chiusura del night in cui si prostituiva, partiva di casa all’imbrunire e tornava la notte, con lei, che si era venduta per togliersi la fame e per sfamarla.

Un bel po’ di kilometri sulle spalle e lo stato di bisogno l’avevano spinta, dopo la morte della madre, perita nell'incendio che l'aveva travolta insieme alla baracca di legno in cui vivevano entrambe, a guidare il camion della “sanitation” a Hiroshima: di notte raccoglieva l’immondizia indifferenziata e la portava all’impianto di smaltimento.

Come le grandi metropoli del mondo capitalistico, Hiroshima era diventata una città simile alle grandi capitali del mondo globalizzato e aveva perso memoria di sé e del suo passato tragico.

Misaky, invece, non perdeva la sua memoria e viveva anche lei, come Kafuku, schiacciata dal senso di colpa per aver lasciato morire nel crollo della loro casa di legno quella madre sola e infelice, che pur massacrandola di botte che lasciavano sulla pelle opaca del suo viso cicatrici e tracce di ferite profonde, dava talvolta qualche segno di tenere a lei e di volerle bene.

 

Con la sua paziente mitezza, Misaky l’aveva spuntata: aveva imparato ad aspettare Kafuku  sull’auto durante le prove; aveva imparato tutto sul modo di far funzionare le cassette con la voce di Oto, e infine aveva accompagnato lui a vistare il centro per lo smaltimento dei rifiuti, che opportunamente sminuzzati e tritati parlavano dello squallido presente della città un tempo simbolo dei pacifisti di tutto il mondo. Lei non ne sapeva nulla: nessuno dei giovani poteva sapere...

A poco a poco si sarebbero conosciuti meglio e stimati; a poco a poco anche lei sarebbe stata invitata alle cene degli attori; anche lei avrebbe apprezzato l’immortale testo di Cechov parlato in tutte le lingue conosciute dagli interpreti, che Kafuku guidava, sperimentando i diversi effetti del combinarsi alterno dei ruoli, e rifiutando in ogni caso la parte dello zio Vanja -” un testo tremendo che costringe a guardarsi dentro” – che per l’età, forse, meglio di altri, avrebbe potuto interpretare.

Lei avrebbe scoperto la rivalità segreta fra Kafuku e Takatsuki e lei avrebbe voluto il viaggio a Hokkaido, il luogo gelido fra le nevi dove la vecchia madre era rimasta a morire, portando con sé il proprio dolore bestiale e quel po’ di amore che sembrava talvolta provare per lei.

Forse per merito suo, anche a Kafuku sarebbe stato possibile “guardarsi dentro”, avendo, infine, a modo suo, elaborato il lutto.

 

 

 

 

 

 
Palma d'argento per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes di quest'anno, questo bellissimo film nasce da un grande racconto di Murakami, che con Takamasa Oe e col regista lo ha sceneggiato. Di grande bellezza la fotografia di Hidetoshi Shinomiya che restituisce a noi la suggestione del paesaggio giapponese con i suoi rilievi, le sue strade sterrate, le nevi di Hokkaido. 
 
 
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