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Il giardino delle vergini suicide

Regia di Sofia Coppola vedi scheda film

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La recensione su Il giardino delle vergini suicide

di AlbertoBellini
10 stelle

 

Si (ri)entra prepotentemente nella fascia dei film (o meglio, degli autori) che cambiano la vita.

28 maggio 2017. Alla settantesima edizione del Festival di Cannes, Sofia Coppola riceve il Prix de la mise en scéne (premio conferito al miglior regista) per The Beguiled... ma facciamo un passo indietro.

Correva l'anno 1999. Pubblico e critica erano puntati verso Francis Ford Coppola, da poco uscito dalla lavorazione de L'uomo della pioggia. Nove anni prima ci fu il (semi)successo della terza parte de Il Padrino, nel quale il regista italoamericano ritagliò un ruolo attoriale appositamente per la figlia Sofia, la cui interpretazione venne affossata di critiche negative. Nessuno poteva prevedere però, con l'avvento del nuovo secolo, la venuta quasi surreale di Sofia Coppola, questa volta, dietro la macchina da presa. Di lì a poco, una stella avrebbe cessato di splendere, lasciando il proprio seppur piccolo spazio ad un'Autrice (una di quelle occasioni in cui la A deve obbligatoriamente essere maiuscola) dal talento incredibile. Col passare degli anni, da film a film, se ne sono dette di tutti i colori sulla Sofia Coppola regista e sul suo rapporto con la macchina da presa, traducibile secondo il pensiero di molti in 'totale inettitudine'. Dal mio canto, tutte fesserie. Certo, quando si è di parte - specie in casi come questo - è facile scadere nella banalità, nell'enfasi di concetti legati a ciò che può essere mero gusto personale. Sono piuttosto convinto che un grosso problema (o semplicemente un grosso limite) di chi oggi si reca al cinema è quello di dover sempre e comunque tirare in ballo grandi nomi del passato, in parte, come scusa per manifestare la propria disapprovazione nei confronti di chi, al contrario, può e potrà dare molto a questa meravigliosa arte che è il cinema, tanto varia e libera da non necessitare affatto di gare e competizioni per decretare chi possa essere il 'migliore'. Semmai il 'preferito'.

 

In seguito alla realizzazione di due cortometraggi dai titoti Bed, Bath and Beyond (1996) e Lick the Star (1998), Sofia Coppola esordisce al cinema con il suo primo lungometraggio, The Virgin Suicides. Il giardino delle vergini suicide comincia, prosegue e si conclude alla stessa maniera, senza mai scomporsi e cambiare rotta. O almeno così vuol far credere. Si presenta timidamente, con forte insicurezza nei confronti di coloro che si fermeranno ad ammirarlo e, in seguito, giudicarlo, proprio come le protagoniste. Un gruppo di cinque giovani sorelle, fra i tredici e i diciassette anni, appaiono alla luce del sole come delle reincarnazioni della Venere, della Vergine Maria, rinchiuse in un castello di carte dall'amore-odio di una madre intenta a salvaguardare le proprie creature, offuscata dall'ossessivo pensiero di una società dalla morale discutibile, specchio di un'America (finta) perbenista, da sempre convinta di fare del bene e di poter migliorare - o addirittura salvare - il mondo. Nel mentre attendono l'arrivo e il salvataggio di un possibile principe azzurro, le vergini affogano lentamente nello spiraglio d'una vita che vita non è. Lo sguardo di una (all'epoca) ventottenne diviene forma, e ciò che nel cinema viene definita forma diviene sguardo. La macchina da presa invade corpi e menti alla ricerca di una passione adolescenziale non vissuta, ma conosciuta. Adolescenza, quel periodo della nostra esistenza che può essere tanto bello e spensierato, come, ahimè, il momento più brutto; la fase di intermezzo tra l'innocenza e l'incosciente coscienza di ciò che ci ha atteso e ancora ci attenderà, nella quale, spesso, molti di noi si sentivano abbandonati a se stessi - in proposito, fa riflettere il comportamento del padre, intepretato dal grande James Woods, completamente inerme, fisso di fronte ad una partita di baseball in televisione. Basti pensare alla generazione anni '60, all'interno della quale vissero conflitti genitore/figlio più pesanti e gravi di quelli che (in ogni caso) possono scoppiare oggi, ove persisteva una mentalità, anche un modo di approcciarsi al prossimo, diverso. Il giardino delle vergini suicide si scaglia contro il bigottismo sociale che imperava in quegli anni (le vicende narrate sono realmente accadute), mettendo bene in chiaro come la linea che separa la passione dall'ossessione e l'amore dall'odio sia tanto sottile da risultare impercettibile dall'occhio umano. Da sempre il cinema di Sofia Coppola si concentra nel mostrare, raccontare, e sviscerare storie di vita vissuta, le quali non si discostano di un millimetro da quelle di ognuno di noi. Il suo sguardo non si aggira alla ricerca di chissà quali espedienti artificiosi, al contrario, si pone su fatti semplici e realtà ordinarie - in questo caso troviamo, per l'appunto, la difficile relazione tra una madre (la cui rigidità la rende ancor più incosciente di quanto possa essere la mente di un giovane) e le sue figlie; e fra queste ultime, spicca la Lux della splendida Kirsten Dunst, un po' l'iconica figura chiave del film, colei la quale più rappresenta la libertà repressa che, infine, si ribellerà alla prigionia. Pagando le tragiche conseguenze.

Ad accompagnare il tutto, le tristi, meravigliose musiche degli Air.

 

 

Le intere giornate trascorse sul set tra le braccia del proprio babbo devono senz'altro aver giovato una fanciulla e la sua passione. Un esordio folgorante, gelido, crudo e amaro, il cosiddetto 'esordio col botto' alla Quarto Potere. Botto tanto forte e teatralmente bello da non poter essere ignorato. Nel marasma, tra chi lo ha amato e chi lo ha odiato, di questi ultimi, c'è stato persino chi ha insinuato che Il giardino delle vergini suicide è opera del buon Francis, e che dunque Sofia ci abbia solo 'messo il nome'. Baggianate ovviamente, in quanto lo stile e la percebile visione artistica - estetica e tecnica - delle successive opere ne è la prova. Da qui in avanti, Sofia Coppola non potrà che maturare e migliorare quella che ai miei occhi rappresentava già una delle molteplici forme che può avere la perfezione in una sala cinematografica. Questo fu solo l'inizio.

 

Alyssa-Jane Cook, Kirsten Dunst, Hanna R. Hall, Chelse Swain

Il giardino delle vergini suicide (1999): Alyssa-Jane Cook, Kirsten Dunst, Hanna R. Hall, Chelse Swain

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