Regia di Ty Roberts vedi scheda film
Negli Stati Uniti della Grande Depressione – dove il futuro aveva smesso di bussare alla porta – una squadra di football americano composta da ragazzi malnutriti e scalzi della Casa Massonica di Fort Worth, Texas, riuscì nell’impresa (sportiva ma anche esistenziale) di arrivare a giocare nei campionati nazionali. Merito soprattutto di Rusty Russell (Wilson), un reduce di guerra idealista che rinunciò a una carriera comoda per allenare dodici orfani segnati dalla vita, e del dottor Hall (Sheen), un medico alcolista e non pagato che almeno un cuore ce l’aveva.
Ty Roberts dirige un film tratto da una storia vera e ricolmo del più classico sogno americano: il riscatto che nasce dal fango, l’eroismo quotidiano, la seconda possibilità. Con i suoi cliché ben distribuiti – il ragazzo ribelle, lo sfruttatore sadico, la stampa eccitata – il film ci accompagna con buone intenzioni verso una morale edificante, punteggiata da qualche attimo autenticamente vibrante. Nulla di nuovo, si potrebbe dire, per chi ha visto Fuga per la vittoria o altri film in cui lo sport è metafora di resurrezione. Eppure, qualcosa resta: la scena in cui Roosevelt ascolta alla radio le gesta degli Orphans – storicamente vera – non lascia indifferenti. Come non lo fa l’energia con cui Russell rivoluziona il gioco, trasformando la debolezza dei suoi (troppo magri per i placcaggi) in agilità vincente. Luke Wilson è misurato e intenso, Martin Sheen sorprende con la sua burbera tenerezza, e i titoli di coda – con foto e note reali – regalano il vero touchdown emotivo. Perché sì, forse gli Orphans persero la finale, ma vinsero la partita della vita.
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