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47 metri: Great White

Regia di Martin Wilson vedi scheda film

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La recensione su 47 metri: Great White

di moonlightrosso
2 stelle

Storia risaputa, attori cani, regia pessima, erotismo assente, effettacci "gore" castigatissimi. Benvenuti al cinema!!

Ci sono storie risapute, viste e riviste millanta volte ma che ciononostante, se ben trattate e congegnate, funzionano. Non è però questo il caso.

I semisconosciuti Katrina Bowden e Aaron Jakobenko, tanto belli quanto incapaci e imbambolati, sono Kaz e Charlie una coppia di giovani entusiasti, trasferitisi in un'isola ipersperduta a nord dell'Australia per portare in giro danarosi turisti alla ricerca di scenari esotici da sogno, al di fuori cioè dei tradizionali itinerari delle agenzie di viaggio. Nella volontà di sfatare il luogo comune di una bellezza che non va quasi mai di pari passo con l'intelligenza, il nostro supereroe Charlie, nonostante sembri uscito da una sfilata di costumi da bagno di Giorgio Armani, è un improbabile biologo marino pluripremiato e superlaureato, nonchè esperto di squali, mentre la Bowden è un'ex infermiera che, a detta sua, si sarebbe innamorata del suo "principe azzurro" quando si trovava ricoverato in ospedale a seguito di una ferita infertagli da uno squalo bianco (sic!). Attanagliati da prestiti che non riescono ad onorare e pressati dalle comprensibili richieste dei vari istituti di credito, i nostri eroi ricevono improvvisamente una prenotazione da parte del riccastro giapponese Joy (un analista finanziario isterico e ipocondriaco) e della sua novella sposa Michelle.

Recatisi con un piccolo bimotore a visitare la splendida barriera corallina, dove Michelle vorrebbe disperdere le ceneri del nonno, i due turisti rinvengono sulla spiaggia il cadavere di un uomo divorato da un terribile squalo bianco. Decidono così di andare alla ricerca della compagna del morto, scoperta guardando lo sfondo del suo cellulare, augurandosi tutti che sia ancora sana e salva. Le speranze sono però frustrate dalla macabra scoperta di Benny, l'assistente di Charlie, che rinviene i resti della ragazza, anch'essa sbranata dagli squali, nel relitto affondato della loro barca. Malauguratamente nel bel mezzo dell'oceano il famigerato squalo bianco fa affondare con una dentata il bimotore di Charlie e Kaz. Questi, unitamente a Benny e ai contrariati due turisti giapponesi, dovranno proseguire remando fino a riva su una zattera di salvataggio per oltre 150 chilometri e con gli squali perennemente alle calcagna.

Senza proseguire oltre a raccontare un plot trito e ritrito, uguale a troppi altri prodotti similari e con un finale a sorpresa in grado di provocare più che altro il sonno dei malcapitati spettatori, il film si traduce in un'ora e mezza di noia mortale, rovinato da una regia di raro piattume del tal Martin Wilson (chi sarà mai costui?), totalmente incapace di reggere la necessaria suspence e di creare un giusto pathos nell'attesa di scene impressionanti che tali non riescono quasi mai ad essere. A ciò si aggiungono performances interpretative che sarebbe un eufemismo definire amatoriali, in bilico tra l'anonimo ed il cagnesco da parte di quasi tutti (per i quali sinceramente non intravedo un futuro radioso), con la sola eccezione, se vogliamo, di certo Tim Kano, abbastanza efficace nel ruolo del viziato ed insofferente turista giapponese.

La splendida cornice della barriera corallina viene inoltre appiattita da una fotografia pedestre ed assolutamente non in grado di sfruttare giochi di luci di atmosfere lontane ed appartenenti ad un mondo che non è il nostro.

Anonima, priva di mordente ed incapace di una qualsivoglia lettura filmica la colonna sonora del carneade Tim Count.

Quasi completamente assente la componente erotica, che avrebbe potuto essere un buon espediente per sopperire alle incapacità espressive dei nostri sconosciuti attori, come anche estremamante contenuti e castigati quegli effettacci splatter che avrebbero dovuto abbondare per corroborare e dare smalto ad un copione altrimenti privo di interesse.

In un quadro rispettoso delle regole imposte dal "neominculpop" delle nuove logiche produttive e distributive, rimangono soltanto tristezza e rammarico nel vedere come il cinema d'oggigiorno calpesti ed ignori impunemente il "gore" e il "weird" come catarsi e libera espressione, nonchè anima autentica e sincera di certo tipo di cinema, attualmente ridotto ad intrattenimento sempre più asfittico e destinato a piattaforme televisive uniformate ed uguali a se stesse.

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