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Madres paralelas

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su Madres paralelas

di port cros
7 stelle

78ma MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2021- IN CONCORSO

 

Pedro Almodóvar, un anno dopo il mediometraggio La Voce Umana, torna alla Mostra del Cinema di Venezia con una pellicola ancora una volta dedicata alla figura materna, ancora una volta incarnata da Penelope Cruz, già suora-madre in Tutto Su Mia Madre, madre-figlia in Volver, madre dell'alter ego del regista in Dolor y Gloria.

 

Qui un'intensa Cruz è Janis, una fotografa quarantenne rimasta inaspettatamente incinta di un antropologo forense (Israel Elejalde) che accetta di aiutarla nel progetto di riaprire la fossa comune delle vittime della Guerra Civile nel suo paesino, dove giace anche il bisnonno.

L'incontro nel reparto maternità con un'altra giovanissima madre, la diciassettenne Ana (Milena Smit) pare l'avvio di una bella amicizia intergenerazionale, ma sarà invece alla base (lo scopriremo più avanti) di un fatale errore che sconvolgerà la vita delle due donne, soprattutto quella di Janis.

 

C'è anche un'altra madre, quella di Ana (Aitana Sánchez-Gijón), che persegue una carriera di attrice teatrale tardivamente baciata dal successo, mentre quella di Janis era una hippie morta di overdose a ventisette anni, proprio come Janis Joplin di cui aveva dato il nome alla sua bambina.

 

Penélope Cruz, Milena Smit

Madres paralelas (2021): Penélope Cruz, Milena Smit

 

Il regista intreccia e stratifica il suo abbondante materiale narrativo in un melodramma incardinato sulla progressiva ricerca e scoperta della verità sulla propria maternità da parte di Janis, costruito quasi come un thriller dei sentimenti. Man mano che viene a galla la verità partecipiamo alla difficoltà di Janis ad accettarla e fare ciò che è giusto, cioè informarne Ana, al tomento con cui affronta gradualmente questo percorso di dolorosa separazione.

Come in tante altre sue pellicole a dominare le difficoltà c'è però una forte solidarietà femminile, un istinto materno che supera il legame biologico e tesse legami indistruttibili da parte di errori e beffardi scherzi del Fato.

 

Il filone delle vittime della Guerra Civile ritorna nel finale, con l'antropologo che tre anni dopo si mette finalmente alla testa dei lavori di scavo e riporta alla luce i poveri resti dei fucilati dai franchisti: se le due parti non sono perfettamente connesse, per Almodóvar era, si vede, fondamentale lanciare un messaggio sull'importanza del recupero della memoria storica per sanare le ferite del passato.

 

Girato con uno stile magari più controllato e meno esuberante di altre pellicole, con qualche tocco del suo estro visivo (una tenda bianca che sbatte nel vento rappresenta il sesso, la Cruz che va ad aprire la porta e nella soggettiva di chi bussa la vediamo vestita e pettinata diversamente, a segnalare un salto temporale), l'autore confeziona una pellicola solida ed avvincente, seppure un po' meno emozionate di Dolor y Gloria, un ulteriore ed inedito ritratto della sua ormai ampia galleria di figure materne.

 

Oltre a Penelope, in scena va un'altra musa almodovariana, il volto picassiano di Rossy De Palma che fa la migliore amica di Janis, la prima metterle una pulce nell'orecchio sull'aspetto inatteso della sua bambina.

 

 

 

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