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Boiling Point

Regia di Philip Barantini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Boiling Point

di yume
6 stelle

La Kitano way of life continua a fare proseliti.

locandina

Boiling Point (2021): locandina

La tensione e l'eccitazione come elementi principali della trama” fanno sì che Boiling point sia catalogato come trhiller.

D’accordo, anche se siamo in cucina.

“Emotions had reached boiling point and could spill over into violence

Le emozioni avevano raggiunto il punto di ebollizione e potevano sfociare nella violenza”

Fidiamoci del traduttore di google e andiamo avanti.

Ma, ancor più, fidiamoci di Kitano, come non pensare al suo secondo lungometraggio (1990) già capolavoro?

Solo che il suo film iniziava in una latrina, il nostro Boiling point è per gente fina, di quella che ama lasciarsi spennare nei ristoranti stellati per non mangiar niente.

E’ lì che si va al punto di ebollizione.

La violenza che si scatena è reale, ed è quella che metterà in guardia il povero spettatore dicendogli alt, prima di prenderti uno choc anafilattico, di vedere lo chef morto stecchito perché va sul retro a sniffare (e una nomea di gran bevitore già ce l’ha); prima di sentire urla e strepiti venire dalla cucina dove, pare, tutti odiano tutti, meglio optare per una buona e santa pizza.

Il peggio che può capitare è che sia bruciata ai bordi!

Stephen Graham, Malachi Kirby

Boiling Point (2021): Stephen Graham, Malachi Kirby

 D’accordo, Barantini la butta sulla metafora, questa è la vita: mettiamo insieme un bianco semi alcolizzato e cocainomane, mezzo fallito come chef e pieno di debiti, con famiglia allo sbando; un nero che odia i bianchi, tendenzialmente lavativo, infatti fa il lavapiatti, che guarda al cell. la partita invece di ramazzare; una sous chef che ha una gran resistenza, non riesce a smettere di parlare, anzi urlare, e così lascia senza parole la bionda, stupida  maitresse di sala che va a piangere nella toilette; comparse di contorno, come nella vita, camerierine timide che temono di perdere il posto, barman spiritosi che fanno battute con le clienti e dietro il banco le mandano in quel posto, clienti convinti di essere Re Sole che dà ordini ai suoi valletti.

Bene, la vita è questa? Anche.

Nel film di Kitano scattavano scene fulminanti di violenza governate con  stile impassibile, humor nero e grottesco tenuto a bada e affidato a volti immobili e poche parole, lunghe inquadrature sul prima e sul dopo gli snodi della vicenda (il durante toccava a noi immaginarlo),

Qui l’humor nero si avverte subito, serpeggia, cova, transita tra un piatto e l’altro, poi esplode, salta il tappo e, in un crescendo rossiniano, arriverà la fatal Signora a pareggiare i conti.

D’accordo, Barantini aveva partorito un corto appena prima del lockdown, poi l’ha tirato come la pasta di una pizza (sempre quella di prima) e fatto diventare un lungometraggio con unico piano sequenza, infine ce l’ha consegnato ben cotto, anzi stracotto.

Come la bistecca che un cliente vuole a tutti i costi e non è nel menu, ma alla fine arriva, non si sa da dove, semi bruciata.

Capita, nei ristoranti stellati succede di tutto, ma una bistecca non la chiedete, non c’è, e se li mettete in difficoltà non si sa cosa può succedere in cucina.

Stephen Graham

Boiling Point (2021): Stephen Graham

Ma in compenso c’è Stephen Graham, ottimo interprete sul cui viso si legge tutto il dolore del mondo, uno che dice “cazzo” ogni due parole, gli altri non sono da meno, soprattutto la sous chef con treccioline che uno non finirebbe mai di guardare.

Il flash su uno degli aspetti della vita contemporanea è credibile, a volte un po’ forzato ma istruttivo, senz’altro.

Lo spettatore sprovveduto, ingenuamente credulo e ancora fiducioso nelle umane sorti e progressive, avrà una lezione indimenticabile e finalmente tornerà alla buona cucina di mammà.

Dimenticavo Kitano, avevamo cominciato con lui, accomunato dal titolo, finiamo con lui.

Anche lui attacca la borghesia, il consumismo, quelle storture con cui felicemente conviviamo, ma…mi autocito:

Un attacco così diretto al conformismo della piccola borghesia giapponese (ma poi, si direbbe, di ogni età e paese), affidato ad una violenza visiva esibita così platealmente da sembrare uno sberleffo che ha l’aria di ridere di sé stesso, è quanto di meglio Beat Takeshi potesse mettere in campo per essere coerente con la sua dichiarazione: “I miei film sono per persone molto intelligenti e popolo molto stupido, non per le grandi masse”.

La Kitano way of life continua a far proseliti.

 

https://www.youtube.com/watch?v=3QxZTSspFvA

 

Può bastare un trailer per capire la differenza? SI

 

https://www.youtube.com/watch?v=Rr8DAG5WU4s

 

 

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

 

 

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