Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Lussuosamente filmato e supportato da un cast di prim’ordine, Il caso Paradine aveva tutte le premesse per poter sviluppare una vicenda ricca di inquietudine e di contrasti tipici nella cinematografia di Alfred Hitchcock. Il fascino per la donna bella e glaciale, il delitto come elemento di colpa ma anche di fascinazione erotica, il matrimonio, apparentemente sereno ma tomba dell’istinto animale che cova in ogni uomo. Ecco che queste tematiche, tutte più o meno accennate, giocoforza si annacquano in uno sviluppo piuttosto standardizzato. Gregory Peck, forse fin troppo giovane per il ruolo (era 30enne ai tempi delle riprese) è convinto nel dipingere un personaggio che cede ben presto al fascino della propria assistita, tanto da seguire una strada propria nella sua strategia difensiva che andrà dritta dritta verso l’epilogo più drammatico anche per un innocente. Allo stesso tempo, vediamo vacillare ogni certezza coniugale dell’avvocato ormai esaltato dalla torbida figura della sig.ra Paradine di cui non è in grado di constatare l’indole maligna, nonostante vari avvertimenti. Ecco che però la mano pesante della produzione, oltre ai vincoli dell’epoca che comunque non permettevano un esito della vicenda che esentasse il colpevole dall’essere condannato (il celeberrimo codice Hays) portano ad avere un epilogo che appare un po’ appiccicato. Si può invece constatare che la bravura del regista emerge in alcune particolari situazioni. Fra tutte una cura della fotografia eccezionale: le riprese dall’alto degli interni, con i protagonisti che sembrano osservati dalla scenografia, soprattutto nella sequenza della visita alla villa ed in particolare in tutta la sequenza processuale. In una pellicola che chiaramente rende omaggio a tutta la bellezza magnetica di Alida Valli, perfetta in un ruolo costantemente sull’orlo del colpo di scena, è ben dipinto anche il ruolo della moglie del protagonista, la mite Ann Todd, relegata ad una parte priva di sensualità ma estremamente dignitosa e determinata, per quanto a rischio di compromettere il proprio ruolo di consorte, nell’affrontare lo stato di infatuazione che il marito sta vivendo per la sua assistita. Altrettanto curioso il personaggio del giudice Horfield, interpretato da un Charles Laughton, sornione ma sostanzialmente spietato, che non risulta indifferente al fascino femminile. Difficile esimersi dall’accostare quest’opera ad altri drammi giudiziari, uno tra tutti Testimone d’accusa che vede protagonista lo stesso Laughton un decennio dopo in una forma smagliante. Purtroppo il sapore del film è appunto quello di un’opera il cui intento era di pregiato livello ma che non riesce a mantenere fede a tutte i suoi propositi.
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