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Decalogo 3

Regia di Krzysztof Kieslowski vedi scheda film

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La recensione su Decalogo 3

di Aquilant
8 stelle

Il Decalogo 3 presenta sorprendenti affinità con i Racconti morali” rohmeriani ed in particolar modo con “La mia notte con Maud”, a partire dagli sguardi che s’incrociano nella messa di mezzanotte fino al rassicurante e consolatorio finale preceduto dalla dettagliata cronaca di una notte di travaglio con i riflettori puntati su un poco affidabile coniuge messo alle strette dalla seduttrice di turno in preda a sindrome da solitudine natalizia.
Episodio completamente immerso in una straniante atmosfera notturna rappresentata in un modo del tutto impersonale, con la macchina da presa posta nelle angolazioni di ripresa più impensate a documentare le scene sotto punti di vista sempre diversi, manifestando nel contempo un ostentato distacco dalla materia rappresentata e la decisa volontà di non interferire in alcun modo nel confronti di personaggi intenti ad un disperato confronto alla luce di un passato che ha lasciato vecchie ferite non ancora rimarginate. Una sorta di “Fuori orario” dissossato da inutili, superflue appendici grottesche e venato da un senso di metabolizzante malinconia che ci lascia con un sapore amaro in bocca alla vista del disperato sguardo di Ewa, la potenziale seduttrice, immota nella lacerante consapevolezza della sua solitudine passata e futura. Scene di un concitato confronto a tappe forzate, con le invasive luci notturne ridondanti di un’ammiccante complicità quasi a dominare la scena: lampioni, fanali, fari, luci azzurre lampeggianti della milicja, luci di taglio sull’asfalto bagnato, elementi dalla banalizzante neutralità di immagini riflettenti intese a conferire una fredda gamma di tonalità all’evento. Kieslowski si compiace di assegnare allo stralunato ambiente che avvolge nel suo interno le due anime in pena una mera funzione spoetizzante onde attenuare l’invadente simbologia di un incontro forzato idealmente popolato da una schiera di fantasmi del passato difficoltosi da rimuovere dalla propria psiche. E l’eco nella notte ci rimanda parole secche e taglienti come lame inserite in sterili schermaglie dialettiche fini a sé stesse, destinate a dissolversi come una pallida luce insignificante inserita tra gli algidi bagliori che vanno a rompere l’oscurità.
Vicenda strettamente impersonale, fredda e distaccata, manipolata dal regista a guisa di materia informe, addolcita con una spruzzata di sentimenti umani per indorare l’asessuata materialità di un incontro tra un’indifferenza totalmente mondata dalla pur minima parvenza di latente passione ed un’amarezza che cerca di forzare lo stallo di una situazione oramai cristallizzata.
E non a caso le tonalità verde squallido di un’anonima stazione dalle implacabili telecamere a circuito chiuso vanno a fare da coronamento a questa storia di squallore da paesaggio urbano dalla fuggevole strizzatina d’occhio oltre che a Rohmer anche a Wenders ed ai suoi stereotipi della società industrializzata.












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