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Siccità

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Siccità

di Gangs 87
6 stelle

A Roma non piove da tre anni. Il Tevere si è prosciugato, la città è devastata dalla siccità. Le risorse idriche si stanno esaurendo. Attorno a questo dramma si svolgono le vite dei protagonisti, legati da un destino tragico, sempre troppo impelagati nei loro problemi per accorgersi di ciò che realmente sta accadendo.

 

L’inconsapevolezza (o forse è mero menefreghismo?) della drammaticità dell’evento che li vede coinvolti è l’elemento con cui Virzì gioca molto nella sua ultima pellicola. Il marasma di protagonisti che la compongono infatti è composto da personaggi troppo distratti da cose materiali: vuoi apparire sui social per piacere ai followers, vuoi l’amante, vuoi guadagnare, vuoi provare l’ultimo modello di auto di lusso o recriminare sul tuo matrimonio fallito o in fallimento. Tutto questo non può non ricordarci Don't Look Up di Adam McKay con l’unica, enorme, differenza che la commedia di McKay ha una struttura narrativa e una sceneggiatura che il film di Virzì nemmeno di sogna (per quanto anche il film di McKay abbia le sue evidenti pecche, se volete qui c’è la mia recensione).

 

L’eccessività di personaggi, che nella commedia di McKay era la variabile positiva, nel film di Paolo Virzì finisce per trasformarsi nella nota dolente, e le varie storie che li rappresentano, pur andando tutti a convogliare verso un unico affluente, finisce per essere il neo onnipresente nella trama troppo articolata.

 

Allontanandoci dal paragone con Don't Look Up, che farebbe discendere il film di Virzì negli inferi più angusti, e provando ad estrapolare le virtù del film, la prima cosa che ci sovviene di citare è senza dubbio la fotografia. Il lavoro di Luca Bigazzi è impeccabile. La sua meticolosa trasformazione di Roma in città arida, con quel suo Tevere desertico ha un fascino particolare e mai visto e dona alla pellicola un carattere unico e riconoscibile.

 

Pur avendo a disposizione un argomento corposo che si presta a molteplici rappresentazioni, parlo dello spreco di acqua e delle sue prossime conseguenze, il regista decide di lasciarlo sullo sfondo amplificando le vicissitudini personali dei protagonisti, creando una concatenazione di eventi confusionaria e a tratti incompleta. Protagonisti accomunati da una sorta di apatia latente, la stessa che sembra aver avvolto l’intera città, rendendoli parte integrante di uno stravolgimento che porta alla follia, generando atti estremi e impensabili o piuttosto rimarginazioni insanabili.

 

Lo stesso simbolismo forzato inserito in alcune scene, la più eloquente mostra il personaggio di Silvio Orlando che attraversa la secca del Tevere e si vede tagliare la strada da un asino, condotto da un uomo barbuto, che ha in groppa una donna gravida (cosa vi fa venire in mente?), e non si capisce bene se è il miraggio travisato di un uomo che torna all’esterno dopo vent’anni di galera oppure la superbia di Paolo Virzì che crede di aver convertito (passatemi il termine) il suo cognome in quello di un altro Paolo (Sorrentino) più famoso anche oltreoceano, uno dei pochi registi a saper riempire citare, spesso anche strabordando, con classe.

 

La sostanza dell’ultima fatica di Virzì è che la fatica vera la fa lo spettatore nel portarne a termine la visione, nonostante la presenza di alcuni elementi notevoli, oltre alla fotografia sopra citata ci metterei Valerio Mastandrea in stato di grazia e un riscoperto Tommaso Ragno che non guasta mai, ma anche parte della colonna sonora, in primis quella Mi sei scoppiato dentro il cuore di Mina che aleggia non solo nel finale, tutto il resto, come direbbe un noto compianto cantautore romano, è noia.

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