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Siccità

Regia di Paolo Virzì vedi scheda film

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La recensione su Siccità

di maghella
7 stelle

Roma, oggi. Da più di un anno non piove sulla capitale italiana, il Tevere, completamente secco, è diventato una lunga discarica di rifiuti, che si mescolano con importanti reperti archeologici. Una vera e propria invasione di blatte porta molto probabilmente la diffusione di una pericolosa epidemia. Questa è la cornice angosciante del nuovo film di Paolo Virzì, che racconta attraverso vari personaggi la crisi ambientale e umana moderna. Una vera e propria metabolizzazione del momento storico che stiamo vivendo, quello del regista livornese, che insieme a Paolo Giordano sviluppa un soggetto molto ambizioso e che forse era più indicato per una serie televisiva di alto livello, piuttosto che per i tempi ristretti di un “semplice” film. Molti (forse qualcuno di troppo) gli interpreti di questo racconto che intrecciano le loro vite gli uni con gli altri, influenzandone in alcuni casi addirittura la vita stessa. Loris il tassista (un bravissimo Valerio Mastrandrea) è il mio preferito su tutti, quello più intimo e nel quale (forse) Paolo Virzì ha investito maggiormente per quanto riguarda il valore narrativo. Loris fa il tassista a chiamata, dopo essere stato l’autista di un presidente del consiglio caduto in disgrazia (interpretato da Andrea Renzi - e qui il cognome del bravo attore napoletano non può non essere un richiamo importante alle reali vicende politiche avvenute negli ultimi anni-) vive con profondo disagio il suo stato sociale attuale: separato, con una figlia adolescente, in preda ai sintomi letargici della nuova malattia, cerca un confronto con i suoi fantasmi del passato, facendo una tragica analisi della propria vita e del senso che gli altri ne hanno dato.

La siccità porta ad una restrizione dell’erogazione dell’acqua pubblica, con distribuzioni in orari prestabiliti attraverso autocisterne. La popolazione romana è agli sgoccioli, sotto tutti i punti di vista. Esasperata dalla situazione, più che alla solidarietà è portata alla violenza. Una vena aggressiva si impadronisce della città, portando le persone e i personaggi della nostra storia, a trovare vicinanza con gli altri solo con i social, o per mezzo di chat telefoniche. I tg danno informazioni approssimative e dettate solo dall’effetto  mediatico empatico, senza preoccuparsi della notizia ma valutando solamente che effetto ha a seconda dei commenti sui social. Anche chi, come l’esperto in emergenze ambientali (un bravo Diego Ribon), chiamato a spiegare il come e il perché della situazione tragica che si sta vivendo, viene in qualche modo traviato dai malcostumi di chi quella situazione l’ha alimentata, senza preoccuparsi minimamente di risolverla, ma forse addirittura cerca un modo per arricchirsi grazie a quella. Un progetto veramente ambizioso quello di Paolo Virzì, che deve aver investito molto a livello economico e anche artistico per ottenere un buon risultato finale. Infatti il regista firma la sceneggiatura con altri 3 collaboratori: oltre a Paolo Giordano, troviamo infatti Francesca Archibugi e Francesco Piccolo. Forse sono proprio le troppe mani e le 4 teste a dare al film un tocco poco sincero nella struttura narrativa, che con alcuni personaggi diventa quasi surreale, mentre con altri cerca un contatto più empatico con lo spettatore, con altri ancora (ma forse solo con Loris il tassista) più intimo e viscerale. Le vicende riguardanti il galeotto interpretato da Silvio Orlando le ho trovate -ad esempio- fuori contesto rispetto alle altre, utilizzando un linguaggio alquanto sopra le righe e molto forzato nella soluzione della storia. Quello che apprezzo invece è la capacità del regista livornese, che seguo e apprezzo dalla prima ora della sua carriera, a saper dirigere così bene tanti attori, riuscendo a trarre da loro il meglio facendoli interagire con tutti i personaggi intorno, dandogli una dignità propria che esula dalla semplice caratterizzazione, ma che trova sempre una psicologia utile per diventare -anche chi ha una parte minuscola- un ingranaggio fondamentale per la riuscita del film. In questo film poi, Virzì si circonda di attori a lui cari, con cui ha girato le sue migliori opere e dai quali sa ottenere il meglio. Oltre al bravissimo Valerio Mastrandrea, che sembra quasi un alter ego del regista (forse già con “La prima cosa bella”), mi piace sottolineare anche Monica Bellucci, che nella piccola parte della diva-seduttrice- vera propria maga Circe, di questa storia, riesce, con i suoi modi “svampiti” e distaccati ad incarnare quel modello di vip da opinionista televisiva che tanto va di moda oggi: falsamente interessata ed intellettualoide, ma che in realtà cerca solo un suo posto in prima fila da conservare per rimanere a galla (e questa definizione non è casuale).

Ma tanti (e forse, ripeto, troppi) i personaggi simboli di una brutta tendenza alla cattiva comunicazione: l’attore caduto in disgrazia che è ossessionato dai suoi social che non si accorge dei problemi in casa è quello forse più divertente inizialmente ma che alla lunga rimane quello più patetico. Certo quello che Virzì cerca è una critica durissima alla condizione sociale moderna, ma che perde la sua tipica sferzata amara livornese (che tanto mi piace) per volgere più ad una piega angosciante, adagiandosi forse un po’ troppo sulla scelta musicale del brano “Mi sei scoppiato dentro al cuore”, per provocare quella immancabile nota commovente che però in questo caso -a mio avviso- non è supportata a pieno dalla struttura del film. Ma come ho detto ad amici e parenti, un film di Paolo Virzì, anche se meno riuscito, vale sempre la pena di essere visto, perché godibile e ben fatto e che alla fine lascia sempre un momento di riflessione.

Una nota di merito spetta alla brava, e una vera sorpresa per me che la seguo soprattutto in radio, di Manuela Fanelli, chiamata per interpretare un personaggio complesso e forse uno dei più interessanti, quella dell’imprenditrice che cerca soluzioni e risposte valide ma che viene sottomessa e continuamente svilita dagli squali dai quali è circondata, squali che non hanno bisogno di acqua per sopravvivere, ma che sanno rubarla molto bene ai “pesciolini” che hanno intorno.

scena

Siccità (2021): scena

 

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