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Al bar dello sport

Regia di Francesco Massaro vedi scheda film

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79DetectiveNoir

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La recensione su Al bar dello sport

di 79DetectiveNoir
5 stelle

 

S.O.S., solo in caso di necessità, soli in casa pronti alla nuova quarantena. In Francia, attaccata Avignone, avvenuti inoltre nuovi attacchi terroristici a Notre-Dame de Paris. Macron dichiara stato di allerta nazionale alla faccia della Liberté, Egalité, Fraternité. Ci vorrebbe Robespierre e forse una P.R. per baci alla francese di ecumenismo più rivoluzionario dell’inutile 69, no, ‘68.

Donald Trump teme di non vincere alle prossime elezioni presidenziali, sì, statunitensi, e forse contatta Dustin Hoffman di Wag the Dog per allestire, in Studio Ovale, ribattezzato “orale” dopo il fallaccio, no, fattaccio di Bill Clinton con Monica Lewinsky, una White House non tanto immacolata, una guerra contro la Corea del Sud.

Conte, premier nostrano, appartenente a un politico movimento vicino alla DC Comics, no, all’ex Democrazia Cristiana, prega col Pater Noster per scongiurare il peggio. Agli italiani giurando che mentirà loro come Leslie Nielsen de L’aereo più pazzo del mondo. La situazione, secondo Matteo Salvini, fu perfettamente sotto controllo ma sta ora sudando freddo in quanto la pandemia del Covid è in Caduta libera più preoccupante dell’orrendo programma televisivo condotto da Gerry Scotti. Il riso scotta?

C’è poco da ridere, la gente riguarda Riso amaro di Giuseppe De Santis e invoca ogni santo. Presto, sarà Ognissanti. Halloween! Carlo Verdone! Bianco, Rosso e...? Ma quale Altare della Patria e il tricolore.

La gente si strappa i capelli, urgono (r)impianti tricologici. Dopo Ognissanti, oh signur’, vien il giorno dei morti. E non c’è niente da ridere. Avete qualcosa da ridire? Ah ah.

Salvini è aperto al lockdown e la sua donna, chiusasi poiché forse affetta-infettata dal Corona (chi, Fabrizio?), non si apre a lui. Non gli dà il lascia-passere, no, passare. È una donna affettata.

Sì, sono l’unica persona al mondo, perlomeno fra le pochissime, capace di apprezzare parecchio Il processo ai Chicago 7, film nel quale svettano attori prodigiosi e magnific(ent)i e non improvvisatisi tali, cioè degli impresentabili deficienti che, dopo aver riscosso un consenso nazional-popolare, sfoggiando, si fa per dire, la loro nudità, più che altro, nullità esistenziale, esibendosi volgarmente e mercificandosi alla compravendita del carnaio sociale, dal Grande Fratello in poi sono ascesi, sì, di ascesso nostro gengivale a disgustarli, nel cosiddetto empireo dei VIP applauditi, benissimo pagati, forse solo inconsapevolmente plagiati da pecoroni, più idioti o forse solo più furbi di codesti, pronti ad omaggiarli e, come se non bastasse, sfruttando per l’appunto la loro popolarità alla b(u)ona da burini mai visti ma dalla maggioranza guardati, donando loro parti sempre più consistenti in film neanche malvagi.

Adesso, Luca Argentero è diventato un attore bravo? Mah, a Cristina Marino, preferisco il mio canale YouTube, Joker Marino.

Dicevo, mi sono perso. Ma amo perdermi, mi do da solo del disperso, del disperato, del cronico fallito amareggiato ben fiero di esserlo. Non rinnegando la mia innata lucidità, no, unicità, per l’appunto, inviolabile. A mio avviso, invidiabile.

Dicevo... sono fra i pochi, come si suol dire, che si possano contare sulle dita di una mano, a poter amare un ottimo film di Aaron Sorkin e, la sera successiva, rivedere assieme a un amico un film dalla comicità di grana grossissima (così viene definito dal trombonesco Paolo Mereghetti), Al bar dello sport.

Poiché sono come Joe Pesci di Casinò. Non metto mai la testa a posto. Infatti, sono gli altri a spaccarmela, ah ah. Sono forse un casinista o Tom Hanks di Turner e il casinaro.

Uno che ama starsene solo soletto, forse in saletta con le suolette, nella sua casina, spesso e volentieri, rinunziando alla cosiddetta socialità tanto decantata e “benvoluta” da un mondo ove, per essere stimato, devi per forza affermare, fermissimo, che i film di Paul Thomas Anderson sono, anzi siano (eh sì, sai usare il congiuntivo?), tutti dei capolavori. Lo è solo uno, Boogie Nights.

Per il resto, i film di Anderson sono più pretenziosi di uno psichiatra della mutua che vorrebbe praticarti maieutica, inalandoti retorica formale spacciata per arte incontestabile. Oppure per sedazione contenitiva, frenante di danni laterali e coattamente la tua voglia da coatto vero, senza la De Filippi a farti la predica o a rifarti il look imborghesito del tamarro piacione piccolo-borghese “amabile”, di cantare e mandare tutti a cag... e.

Molti, peraltro, forse anche Pearl Harbor... di Michael Bay non è così brutto come si dice/dica in giro, sostengono che Daniel Day-Lewis sia uno dei più grandi attori della storia e tanti suoi fan sono inoltre convinti che sia non solo il miglior attore della sua generazione, bensì il più grande vivente.

Ma per l’amor di dio! Daniel interpretò anche un paio di commedie brillanti al fine di dimostrare la sua versatilità camaleontica alla Bob De Niro. Non fu brilliant e ne uscì uno schifo più brutto di una modella rifatta su Instagram con tanto di bocce, no, di boccacce che vorrebbero fare gola ed essere al contempo goliardiche come nelle migliori novelle del Boccaccio.

Oltre a essere sboccata, strafatta e stupida, non mi eccita e non mi fa ridere. Questa qui è subito da bocciare, vai di banana, no, va bannata, bloccata. Stia castigata! Ah ah. Così come dicono a Bologna, bella mia, adesso stai cagata.

Cioè buona anche se sei bona. Insomma, sei una bona a nulla. Ah ah.

Lino Banfi, invece, è un uomo stoico. Quest’uomo sformato, grasso, rabbioso. Che vuole spezzare a tutti la noce del capocollo, imprecando come un porco, bestemmiando a più non posso. Tirando in ballo la Madonna dell’Incoronata, di Cerignola e pure di Manfredonia.

Un uomo che, con estremo orgoglio, non ha mai letto un libro storico, semmai di Valerio Massimo Manfredi. Credo anche che di Nino Manfredi, a tutt’oggi, altamente se ne freghi.

A differenza di Nino, attore con la sordina, forse migliore di Alberto Sordi perfino, Lino è sempre stato un uomo senza compostezza, che giammai cedette ai compromessi e non andò a messa, un uomo mai composto, scevro d’ogni regola del buon gusto. Eppur strepitosamente Augusto, no, giusto.

Che in questo film, ove interpreta la parte di un emigrato pugliese disastrato, semi-disoccupato a Torino, la città ove impera il culto della Juventus e la sua scarsa mancanza di culo, eh sì, per fortuna ieri sera perse però contro il Barcelona, risiede in una cameretta angusta ubicata a sua volta in un appartamento forse in subaffitto del cognato che probabilmente non pagò il mutuo ma volle castrarlo psicologicamente, appenderlo al muro, oppure renderlo muto. Soprattutto assai più povero del suo idolatrato, forse solo divinizzato, invidiato Gianni Agnelli. Sì, Lino, avvocaticchio alla Lino Capolicchio, no, alla Joe Pesci di Mio cugino Vincenzo, alla De Niro de La notte e la città che, anziché corteggiare Jessica Lange, è Innamorato pazzo à la Celentano non di Ornella Muti, co-protagonista di Povero ma ricco con Renato Pozzetto, bensì della tabaccaia Rossana, una Mara Venier, natia di Venezia, che c’entra come i cavoli a merenda in tale pantomima ed è ficcata... in un baretto frequentato da personaggi partenopei come Gaetano (Pino Ammendola!). Un microcosmo da Totocalcio e da Toto Cutugno, da Monte Rosa, Monte Bianco e montepremi ove compaiono, dalla tv, uomini da Natale a casa Cupiello, in cui Jerry Calà dà spettacolo e si agita come un matto, gesticolando a briglia sciolta forse come un ventriloquo-trasformista Arturo Brachetti ante litteram. Probabilmente, è sofferente non solo di mutismo, anche di rachitismo e precarietà di cultura. Uomo che, essendo stato dalla nascita angariato ed estromesso da ogni sociale contesto, essendo stato sottomesso e sfruttato, malpagato come Mio fratello è figlio unico di Gaetano Rino, venne quindi dal prossimo rifiutato in quanto giudicato razzisticamente, no, cattivamente un handicappato. Non disse/dice una Parola, parola identica al suo nome, poiché, dopo essersela giocata male forse con qualche cretina di Vacanze di Natale o Sapore di mare, desiderò riscattarsi dalle sue origini da indigeno e marocchino, no, da catanese indigente nato all’anagrafe as Calogero Alessandro Augusto...

Un film di Francesco Massaro che assomiglia a una pellicola per massaie, no, di Sergio Martino. Ambientato perlopiù in uno squallido baretto di periferia ricolmo di aperitivi Campari in cui dei poveri disgraziati, semi-orbi e disagiati, immalinconiti a bestia, tirano a campare fra una pizza mangiata a portafogli e pochissimi soldi nel salvadanaio sparito pure dai sogni nel cassetto più impolverati della biblioteca della sorella di Lino. Si legge molto in questa casa... Annabella Schiavone! E Lino, dopo aver fatto tredici, mangia pure il sapone.

Sì, un uomo di un altro pianeta, un puro di buon cuore, un uomo E.T., sì, extra-terrone. Ah ah.

Anche Sergio Vastano, ora devastato, però non scherza, eh eh. È di Roma ma sembra siciliano. Sì, ha sempre i baffetti da siculo.

Massaro, regista venuto prim’ancora del centravanti del Milan omonimo. Vai, Massarooo...

Io giocai, da mezza ala destra alla Pasolini, nel Lame Ancora.

Alla fine, Lino scoppiò oppure Annie Belle scopò. Di nome, nel suo personaggio, Martine. Fottendo tutti, anche Don Raffaele (Leonardo Cassio). Strozzino che vorrebbe recitare come Marlon Brando de Il padrino ma vien affiancato soltanto da colui che interpretò la parte del padre di Bruno Sacchi... mica da Al Pacino.

Sì, grande Lino. Volle recitare pure con De Niro. De Niro che fu Don Vito ma anche, in Shark Tale, Don Lino.

Bene, la seduta è tolta.

Il Falotico è il più grande scrittore del mondo. Col suo prossimo libro, cioè questo, venderà dieci copie. Datemi una cornucopia.

https://www.kimerik.it/SchedaProdotto.asp?Id=4027

Altrimenti, se venderà più di Fedez, diverrà/diventerà ricco come Chiara Ferragni. Al che, tutti vorranno da lui un residence e un cappotto di cashmere. Voglio invece essere un uomo vellutato, verace, da vongole veraci, vendere un mio ex conoscente, Geraci, in seconda classe nel treno al grido di Geraci, no, gelati, patatine e bibite!

Andare con Gaetano da I Gaetano. Famosa pizzeria, appunto, dell’entroterra del capoluogo emiliano-felsineo.

E ho detto tutto.

Cari morti di fame, morirò presto suicida in quanto senza una lira. Le lire non ci sono più. L’arte non paga, il puttanesimo, sì.

Prima però devo andare in bagno. Poi in cucina. Sì, devo controllare non la schedina, infatti non c’è più, bensì dare una sberla a una zia che, nella sua vita, credette di essere Ava Gardner ma non amò mai suo marito, un tipo-topo da SNAI, un asino. Lui non seppe amarla e lei però non rimase vergine come la Madonna. Lui non è San Giuseppe e non sa far di coito, oltre che di conto. Lei non sa fare il cucito ma a tutti la bocca vuole cucire.

Sì, lasciai gli studi istituzionalizzati poiché già all’epoca mi sentii a disagio con un mondo di ritardati.

Non andavo manipolato né strumentalizzato. E che sono Matt Damon di Will Hunting? Quando i cattivi alla George Foreman esagerarono con le offese, divenni troppo veloce come Muhammad Ali. Più che un film di Massaro, un massacro. Ne presi molte, lo presi in quel posto ma non sto ancora a posto. No, non sono costernato, neppure sistemato, non ho vinto la Lotteria di Capodanno ma sono un artista che ama il Cinema tutto. E, come Joe Pesci di Casinò, ho fatto il botto. Ah ah. Giù ancora botte. Sì, sempre borbotterò. Ah ah.

Ha ragione Cristiano Ronaldo, non dovete tamponarlo su Instagram e sulla strada che porta allo stadio. Il tampone è una stro... ta.

Sì, una strombolata. Che avevate capito?

Di mio, sono riesploso come lo Stromboli o come uno stro, uno stro, un nostro/vostro parente. No?

 

 

di Stefano Falotico

 

Lino Banfi

Al bar dello sport (1983): Lino Banfi

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