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Spencer

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

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La recensione su Spencer

di SamP21
8 stelle

Si conclude così questa ideale trilogia (?) femminile di Larrain , con Spencer.

 

La trama in breve:

La principessa Diana trascorre le festività natalizie insieme alla famiglia reale nella tenuta di Sandringham nella contea di Norfolk. Durante il corso di un intenso fine settimana, maturerà la decisione di porre fine al suo matrimonio con il principe Carlo.

 

Di Ema possiamo dire che è un tentativo riuscito di iper-estetizzare un cinema già estetico, portandolo tra l’altro, finalmente, ai giorni nostri e nel Cile tanto amato dal regista; Spencer abbraccia alcuni imput già risuonanti in Jackie.

 

Larrain e Knight scelgono tre giorni della vita di Diana, tre giorni che ci raccontano la sua prigionia fisica e mentale; il film, come già in molti film del regista, ha dinamiche horror, in particolare quando la principessa è immersa nel suo mondo onirico, impegnata nel tentativo di autodistruggersi per scappare dalla gabbia dorata in cui vive.

 

La macchina da presa si insinua ancora una volta nella Storia, ci racconta un passaggio breve ma incisivo della vita di questa donna che, nel finale dello scorso millennio, è diventata un oggetto da copertina, ma anche una principessa amata dal popolo.

Larrain setaccia tutti i luoghi della prigionia della principessa; in primis il palazzo, mostrato in lungo e in largo, seppur sempre con angoli e prospettive non usuali, ma anche i giardini, ed inoltre il palazzo ormai in malora degli Spencer. E’ proprio lì che la parte onirica può avere il suo sfogo maggiore; ovviamente sono suggestioni dell’autore, ma l’accostamento con Anna Bolena risulta calzante e vincente.

 

Diana cerca in tutti modi (e ci riuscirà nel catartico finale) di scappare dalla gabbia, dalla tirannia della tradizione e della regina. Larrain sceglie ancora una volta un segmento, breve ma intenso, per tracciare la personalità di un personaggio storico, come aveva fatto in Jackie mostrando principalmente gli avvenimenti del post uccisione di Kennedy.

 

Lo scavo psicologico del personaggio si basa sulla sensazione crescente di non poter fuggire da questo eterno passato/presente che è la tradizione, che è la vita di Diana, o che può fuggire solo scappando con la macchina, a piedi, o con la mente; la stessa mente che sta conducendo verso una deriva ormai ossessiva. Oppure attraverso il ricordo del passato, vero e felice di una Diana bambina a casa Spencer.

 

Certamente viene tracciato dal film un fattore ereditario, legato agli Spencer con la loro indole ribelle, non adatta alla regalità e alle tradizioni.

 

Sono vari i momenti horror del film in cui Larrain è aiutato, come in tutti i suoi film, da una colonna sonora insistente ed insinuante che entra diegeticamente nelle scene e fa risaltare l’esplosione emotiva dei personaggi, come avviene nella scena della cena contraddistinta dalle perle mangiate con rabbia da Lady D.

 

Diana viene mostrata come debole, quasi trasparente seppur bellissima, ma anche indomita, ribelle, incapace di sottostare a tutte le regole che la corona comporta; una donna forte ma al contempo intrappolata in una gabbia.

 

In questa ideale trilogia il regista traccia dunque tre figure di donne forti, incapaci di contrastare le imposizioni che affrontano.

Delle tre Ema certamente esce in gran parte da questo quadro, perché intanto è un puro personaggio di finzione, e pertanto il regista ha la possibilità di raccontare altri aspetti rispetto a quelli confinati in un ritratto, provvisorio, di due protagoniste della recente Storia mondiale.

 

Rimane certo il desiderio di mostrare il potere e la difficoltà di convivere con esso. Diana non ha un potere legislativo o politico, anche se ha avuto un peso al livello di costume negli ultimi quindici anni del ‘900; con il potere, però, e soprattutto con la tradizione deve vivere, perché i reali d'Inghilterra rappresentano costantemente lo specchio del paese.

 

In questa ottica il film la mostra nella sua più intima essenza: una giovane donna e madre che voleva vivere nel modo più normale possibile. Questo desiderio, contrapposto alla regalità e realtà del suo ruolo, l’hanno portata a non riuscire più a resistere, incapace di sorridere di fronte ad un pubblico, inorridita da tutti questi rituali e da questa immancabile ipocrisia.

 

Uno sguardo quindi sul potere, visto attraverso gli occhi di una donna in cerca di evasione, che vive momenti da incubo, con situazioni allucinanti e allucinatori, come in Ema, in Post Mortem e ovviamente in Jackie; del resto, è proprio Jackie ad aver aperto un nuovo periodo nella cinematografia del regista cileno.

 

Il finale catartico ha di per sé una grande forza, non destruttura l’incubo personale costruito fino a quel momento, ma ci mostra la forza di questa donna.

 

Il regista ci rivela come già in quei giorni, ad inizio anni ’90 c’erano già tutti i temi, i pericoli, le ossessioni, che poi avrebbero portato al finale tragico e pieno di misteri della principessa; ma il regista sceglie di raccontare anche la forza di questa donna, la voglia di combattere rispetto ad una prigionia che in parte si è scelta.

 

La regia di Larrain è sempre libera, come del resto il suo racconto, e riesce a sprigionare tutta la sua forza visiva nei momenti più importanti del film; la già citata scena della cena, l’incontro onirico con Anna Bolena, il momento sulla spiaggia, la scena del bersaglio durante la caccia, che pone con evidenza il fatto che Diana si senta perseguitata dai reali come dai fotografi, e infine le scene di ballo e corsa che liberano la protagonista dalla sua insofferenza e la portano a reagire.

 

La Stewart è brava in un personaggio dalle tante insidie interpretative.

 

Larrain riesce ancora una volta a realizzare un cinema intelligente, immersivo e visionario, con un’altra fine lettura di un personaggio della recente Storia.

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