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The Voyeurs

Regia di Michael Mohan vedi scheda film

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La recensione su The Voyeurs

di scapigliato
4 stelle

C’è una battuta nel film che dà la tara a tutto l’impianto narrativo – autoriale mi sembra troppo per un prodotto mainstream(ing) – e che risolve l’iniziale impiccio di una sceneggiatura posticcia, ovvero: «Se sono esibizionisti, guardarli è segno di educazione». Ma la felice intuizione di The Voyeurs finisce qui.

Il thriller erotico diretto da Michael Mohan poteva essere, ma non è. Se la colpa è da attribuire alla piattaforma di contenuti originali e innovativi che si è trasformata in generalista o ad altro, questo non lo so, ma poco importa. Ciò che importa è che ancora una volta la forma non è il contenuto. Un thriller erotico sull’ossessione scopica, voyeuristica ed esibizionistica che mostra poco o nulla di carnale. Si applaudono le generose forme di Sydney “colpo di fulmine” Sweeney, anche se appaiono troppo tardi – il suo lento spogliarello davanti all’occhio indiscreto del fotografo è il momento più alto del film – e si biasimano le scelte puritane del regista che indugia sul corpo perfetto del fotografo seduttore, rendendolo di fatto un oggetto di culto e turba ossessiva, senza però mostrare il nudo frontale a cui agogna la protagonista. Tutto resta castrato e imbellettato nella cornice fashion e hipster delle architetture americane – compresa la Montreal in cui è ambientato il film – in cui i mattoni a vista, il cemento grezzo, le enormi vetrate e quant’altro hanno solo un ruolo: addolcire il perturbante, ovattarlo, castrarlo.

Se il protagonista Ben Hardy, sfortunatamente, è bello, muscoloso e dotato – si intravede e dubito si tratti di protesi dato che non viene mai inquadrata con cognizione di causa – non ne viene però valorizzato il physique du role, ovvero, il tema non viene articolato nel motivo del corpo nudo. Siamo lontani da ogni forma di intelligenza artistica, confermata dai tanti, fin troppi, richiami allo sguardo: dal lavoro della protagonista, oftamologa, a quello dell’artista, il fotografo, dai dettagli degli occhi dei pazienti all’uovo sodo tagliato in due manco fosse Un chien andalou (Luis Buñuel, 1929).

La riflessione sullo sguardo e, per esteso, al voyeurismo e alla sua disciplina complementare, l’esibizionismo, viene lasciata bellamente ai posteri perché non è dato durante la visione del film capacitarsene. L’intreccio è imbarazzante tanto quanto le svolte narrative, più ridicole che improbabili. Per non parlare del finale, il cui commento lo lascerei all’epica frase del ragioner Fantozzi.

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