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Da Corleone a Brooklyn

Regia di Umberto Lenzi vedi scheda film

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La recensione su Da Corleone a Brooklyn

di undying
6 stelle

L'utilizzo del credibilissimo Merola nei panni del boss valorizza la buona prestazione di Maurizio Merli, come sempre ottimamente calato nei panni di paladino della giustizia. Minore rispetto ai titoli precedenti diretti da Lenzi, ma non per questo opera da dimenticare.

 

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Il boss corleonese Michele Barresi (Mario Merola), sotto falsa identità venezuelana, si trasferisce a Brooklyn venendo immediatamente intercettato dalla polizia, ma per poter dar corso alla sua estradizione occorre l'identificazione di un testimone. Contemporaneamente a Palermo giunge il tenente Giorgio Berni (Maurizio Merli), proprio mentre due cosche mafiose rivali - una al servizio di Barresi - sono in aperto scontro armato, tanto che le strade cittadine iniziano a riempirsi di cadaveri. Scalia (Biagio Pelligra), un sicario al soldo di Barresi, viene ferito e catturato dopo aver compiuto un delitto ma, per la disattenzione di un giornalista, dato per morto. Scalia, assieme alla sorella Liana (Sonia Viviani), è stato testimone dell'omicidio di Salvatore Santoro da parte di Barresi e, quando apprende dell'uccisione della sorella, si rende disponibile a raggiungere New York scortato dal tenente Berni, per identificare il potente boss.

 

"Lenzi è un maniaco di cinema, sa tutto del cinema, [...] proprio tutto. Insomma, io credo che se il sistema cinematografico e la società che lo produce fossero meno malati, questi registi potrebbero fare cose molto decenti, sempre sul piano di un buon artigianato, perché sono artigiani ottimi, innamorati del loro mestiere, cinici loro malgrado."

(Giovanni Lombardo Radice) [1]

 

Laura Belli, Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Laura Belli, Maurizio Merli

 

Quando il filone poliziesco era stato ormai sfruttato in quasi tutte le sue declinazioni, Umberto Lenzi (1931 - 2017), con il supporto in sceneggiatura di Vincenzo Mannino, decide di dare un taglio internazionale al genere, puntando al road movie (metà film è sviluppato seguendo il travagliato viaggio, con destinazione America, da parte di Berni e Scalia). Forte di un buon cast (Merola era particolarmente celebre per le sceneggiate napoletane) e di validissimi collaboratori (dalla fotografia di Guglielmo Mancori alle scenografie di Giuseppe Bassan, finendo con la suggestiva colonna sonora di Franco Micalizzi), Lenzi gira un film particolarmente ritmato, non privo di inattesi, ma funzionali, risvolti ironici (in buona parte assegnati all'agente interpretato da LoCascio), impreziosito da una buona sceneggiatura che, caso raro non solo per il poliziesco, una volta tanto pone particolare attenzione alle psicologie dei protagonisti, quasi tutti - persino il malvagio boss - capaci di compiere gesti inattesi. Ognuno di loro, a cominciare dal personaggio attribuito a Pelligra (attore per lo più destinato a brevi ruoli di malvagio, qui in una parte di più ampio respiro, in grado di dare profonda personalità alla figura di Scalia), dimostra di avere una coscienza pur avendo scelto, in genere, la strada del crimine. L'intreccio narrativo, ben supportato da suggestive scene d'azione, tiene incollati davanti allo schermo mentre Lenzi conferma un talento raro dietro la macchina da presa, che emerge in particolar modo durante i movimentati inseguimenti automobilistici. Nel 1995 Claudio Fragasso ne realizzerà una sorta di remake (Palermo Milano - Solo andata).

 

Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Maurizio Merli

 

Solitudine e rabbia, per un poliziotto scomodo

(Articolo a cura di Davide Pulici e Manlio Gomarasca) [2]

 

"Andandosi a rileggere gli articoli con cui la stampa nazionale piangeva Maurizio Merli, l'indomani della sua prematura scomparsa, avvenuta il 10 marzo 1989, il meno che si possa provare è disagio. Fuor di dubbio che il branco dei 'coccodrilli' e lo spazio loro riservato testimoniassero della vastissima popolarità di Maurizio, il quale aveva terminato i suoi giorni stroncato da un infarto a soli 49 anni durante una partita a tennis; tuttavia - ed ecco il disagio - nemmeno un rigo di quanto si scriveva in memoria dell'attore rendeva ragione dei veri motivi della sua notorietà e del genuino favore di cui aveva goduto per quasi un decennio presso le platee del nostro Paese. I vari de profundis concordavano, infatti, nel ricordare la formazione teatrale di Maurizio, diplomatosi presso l'Accademia di arte drammatica, e i successivi primi passi nel mondo dello spettacolo, di cui sono tappe significative - a dire dei necrologi ufficiali - un'apparizione ne Il gattopardo di Luchino Visconti, l'esperienza nella rivista I trionfi come ballerino-cantante insieme a Carlo Dapporto, e quindi tutta una sporade di altri lavori (in teatro, radio, cinema e televisione) che come culmine avrebbero avuto il Garibaldi televisivo (1974) di Franco Rossi, uno sceneggiato in grado di assicurare a Merli quel successo di pubblico e quella celebrità che - sempre parola dei giornali - 'l'attore aveva inutilmente inseguito da undici anni sui palcoscenici e sui set'. E fin qui tutto bene. Sul proseguio, invece, della carriera artistica di Maurizio, le alternative oscillavano tra la reticenza o le allusioni cariche di malcelato disprezzo: 'Uscito dall'anonimato', scriveva per esempio un articolista della Nazione, 'Maurizio Merli si tagliò la barba e girò come protagonista una serie di film polizieschi, pellicole di scarso valore realizzate da registi di scarso prestigio (...) Ma la parte usurata di un intrepido e deciso commissario romano (...) aggiunse poco o niente alla carriera'. C'è da scommettere che chi trinciava un giudizio di così rara superficialità non tanto sul valore dei 'polizieschi' (la nouvelle vague della critica cinematografica era ancora di là da venire) ma a proposito del fatto che questi film avessero aggiunto poco o nulla alla carriera dell'attore e quanti lo leggevano, avessero ancora ben vivida nella memoria l'immagine di quei granitici commissari Betti, Tanzi, Olmi, Murri... interpretati da Maurizio in tanti 'poliziottari' assai più di quanto ricordassero, per esempio, il Merli-Ricciardetto dell'Orlando furioso, nell'adattamento allestitone da Luca Ronconi. Tuttavia, sulle glorie del commissario Merli si preferì glissare... Se non tutto, certamente moltissimo in termini di fama e di successo, Maurizio lo dovette invece proprio al filone poliziesco, dove furoreggiò a partire dal 1975 e in cui si impose prestissimo non solo come 'un' protagonista ma come 'il' protagonista par excellence. La sovrapposizione tra attore e personaggio portato sullo schermo fu, nel suo caso, profonda e tale da sfiorare toni leggendari. È noto l'aneddoto, che lo stesso Merli riferiva, di quando, fermato da una pattuglia della stradale, venne subito congedato dall'agente che lo riconobbe e salutandolo militarmente gli disse: 'Oh, scusi, commissario...'. Quel che sarebbe presto diventato il suo alter ego, Maurizio lo incontrò la prima volta, quasi per caso, nel fortunato Roma violenta (più di due miliardi di allora d'incasso), allorché venne assunto in forza al cast dietro consiglio del regista Marino Girolami per sostituire Richard Harrison, la cui candidatura al ruolo era invece caldeggiata dal produttore Edmondo Amati. L'interprete che serviva doveva essere biondo, atletico e con i baffi - Maurizio allora non li portava e se li fece crescere apposta -, doveva, cioè, apparire iconograficamente il più vicino possibile a Franco Nero, eroe del miliardario apripista del filone La polizia incrimina la legge assolve, che lo stesso Amati aveva prodotto due anni prima. Alla fine fu Maurizio a spuntarla e al suo personaggio seppe dare subito pregnanza e vita autonoma, tratteggiando un carattere di poliziotto duro e violento, certo, ribelle ai codici e alle regole che lo impastoiavano nella lotta contro il crimine - come la tradizione del genere imponeva - ma psicologicamente assai meno monolitico rispetto alla maggior parte degli 'sbirri bastardi' del periodo. Grilletto e sganassoni facili si appaiano al dubbio, alla riflessione e persino all'angoscia in questo commissario Betti che nella stessa stagione '75/76 riappare trionfalmente quale protagonista di un secondo film di Girolami, Italia a mano armata - sarà l'unica volta in cui Merli, a fine storia, viene ucciso - e nell'ottimo Napoli violenta, diretto da Umberto Lenzi, un regista in grado di utilizzare al meglio le qualità recitative e atletiche di Maurizio e che già a pochi mesi da Roma violenta aveva cambiato identità a Betti, dando un'accelerata in violenza al personaggio e trasformandolo nel battagliero commissario Leonardo Tanzi, ai ferri corti con il 'Gobbo' Tomas Milian, macellaio sadico e sanguinario, nel film Roma a mano armata. La saga di Tanzi conobbe anche un secondo capitolo, sempre lenziano e sempre con Milian supercattivo, Il cinico, l'infame e il violento (1977). All'immediato, enorme successo che lo investì, non sempre corrispose la saggia amministrazione dello stesso da parte di Merli, il quale talvolta scordava il peso determinante che per la riuscita di un film avevano, insieme al suo, il nome di un Umberto Lenzi o di uno Stelvio Massi dietro la macchina da presa: 'Tornando a Roma da Napoli - ricorda proprio Lenzi - dove avevamo presenziato con le nostre mogli alla prima nazionale di Napoli violenta, Maurizio volle portarci a vedere Paura in città, un poliziesco che aveva da poco girato. A Napoli, nonostante si fosse in pieno agosto, il cinema era stato preso d'assalto dalla gente, che rovesciò persino il bancone dei biglietti e spaccò le vetrate... tanto che si dovette richiedere l'intervento della polizia. Bé, a vedere Paura in città, a Roma, eravamo solo quattro in sala... Ecco, se dovessi trovare un difetto di Maurizio, che peraltro amavo e stimavo moltissimo, direi che a un certo punto ebbe troppa fiducia nei suoi soli mezzi, pensando che il suo sguardo bastasse da solo a riempire i cinema'. Ma qualche passo falso (nemmeno la variante western di Mannaja entusiasma o l'intrigo sentimental-spionistico de I gabbiani volano basso; così come non pagò il Merli 'cattivo' di Sono stato un agente C.I.A.) non incrina una carriera che prosegue a spron battente e infila, dal 1977 al 1980, alcune delle migliori interpretazioni di Merli accanto a Napoli violenta e a Da Corleone a Brooklyn, Poliziotto sprint, Un poliziotto scomodo e Poliziotto solitudine e rabbia sono tre titoli da antologizzare tra i sei polizieschi che Maurizio gira per la regia di Stelvio Massi, in quanto prove duttili e sensibili dell'attore che in Poliziotto sprint abbandonava baffi e grado per diventare il semplice agente, 'driver' di volanti, Marco Palma, nel secondo, di nuovo commissario a muso duro contro il crimine, freddava per sbaglio un innocente caso unico nel genere mentre in Poliziotto solitudine e rabbia, ormai al declino degli anni di piombo, nell'adatta atmosfera di una Berlino livida e invernale, si congedava in grande stile dal personaggio che aveva fatto la sua (e più spesso l'altrui) fortuna. Si era nel 1980 e l'anno precedente Merli aveva percorso quella sorta di struggente, bellissimo e inconsapevole viaggio iniziatico a ritroso (dell'eroe e del filone simbolo di esso) verso le proprie remote origini d'Oltreoceano che è Da Corleone a Brooklyn, guidato ancora una volta, per l'ultima, dal fido Umberto Lenzi. Terminarono così, a New York e a Berlino le imprese del commissario Merli, al quale le parole rivolte dal boss Mario Merola nell'epilogo del film non possono fare a meno di suonare come un sinistro vaticinio: 'Ma sei sicuro che ci arriveremo in Italia...?'. Maurizio, in effetti, la via del nostro cinema non riuscì più a ritrovarla nel nuovo decennio e se si eccettuano lo sceneggiato televisivo Notturno (1984) dove quella di Merli fu una presenza significativa ma spersa tra molte, un lungometraggio francese, mai distribuito, con Ava Gardner e un film di Alberto Bevilacqua, Tango blu, in cui Maurizio credeva molto ma che si rivelò un flop, gli anni Ottanta decretarono in sorte al commissario Merli unicamente 'solitudine e rabbia'.

 

Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Maurizio Merli

 

Curiosità 

 

Alla domanda "Ci può raccontare qualche episodio curioso avvenuto sul set con Merli protagonista?", Lenzi rispose: «Un episodio esemplare a New York durante le riprese del film Da Corleone a Brooklyn. Era febbraio, Manhattan era coperta di neve: 25 gradi sotto zero. Dovevamo girare una scena vicino al porto, in cui un gruppo di personaggi poco raccomandabili tentava di liberare Pelligra da Merli che lo aveva preso durante la sua fuga. Non avevo stuntmen per girare la scena dell'assalto, dovetti usare dei portuali che reperimmo lì per lì sul posto. Dissi a Merli che quei tizi lo avrebbero menato davvero (non per finta come i nostri bravi acrobati). Se la sentiva? lo avrei girato un solo ciak. Con molta pazienza Maurizio si prestò e il pestaggio fu autentico! Per fortuna non ne uscì troppo malconcio, si rimise con un buon bicchiere di whisky». [3]

 

Mentre Lenzi girava Da Corleone a Brooklyn, in un cinema americano aveva corso un double-bill a carattere hard (cifr. foto seguente). Sono riconoscibili i titoli dei film: Barbara Broadcast, 1977, di Radley Metzger e Fiona on fire, 1978, di Shaun Costello.


 

Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Maurizio Merli

 

Critica [4]

 

"Palermo: il commissario Berni (Merli) deve scortare a New York il supertestimone Scalia (Pelligra) per ottenere l'estradizione del boss Barresi (Merola), ma le insidie, sia in Italia sia in America, non finiscono mai. Un'originale e movimentata struttura di road movie (ancorché non sempre verosimile) porta aria fresca nel poliziesco italiano. La sceneggiatura di Lenzi e Mannino si sforza di costruire personaggi a tutto tondo, siano mafiosi o poliziotti. Cinema di genere da apprezzare senza sensi di colpa o alibi trashisti, e che rinuncia anche alla violenza: peccato solo che a New York tutti parlino italiano. Luca Barbareschi è uno sbirro capellone a New York".

(Paolo Mereghetti)

 

"L'idea di accostare l'eroe di un genere strappacuore con lo stereotipo del poliziesco all'italiana non era male, la commistione poteva essere divertente e un pò bizzarra. Umberto Lenzi (che fa parte dei registi «prolifici» come si diceva una volta, giacché sforna un film a settimana) ha fatto però, a nostro avviso, un errore di logica e di distribuzione distanziando nella vicenda i due protagonisti e facendoli incontrare soltanto nel finale. [...] Il film tutto azione si snoda attraverso una regia e una sceneggiatura molto banali e spesso maldestra, soprattutto quando nella storia s'infila l'eroica ex moglie del poliziotto o quando il regista vorrebbe tracciare la sociologia spicciola del teppismo americano. [...] Così com'è il film cuoce lento nei luoghi comuni, mentre i personaggi, che non fanno che inseguirsi, hanno scarse motivazioni psicologiche. [...] Il fatto più curioso risulta essere, alla fine, il fatto che la pellicola è stata prodotta da una donna, Sandra Infascelli.'

(M. Po., "Sguardo mafioso... dal ponte", in «Corriere della sera», 15 aprile 1979).

 

"Merli, nei panni del commissario Berni, cerca di incastrare il boss Merola grazie all'aiuto di un pentito, Biagio Pelligra. Ovvio che Merola cercherà di fargli la festa. E ci riuscirà. Ma Merli troverà lo stesso il modo di incastrare il perfido Merola. Fu un mezzo insuccesso. Merli viene menato sul serio da un gruppo di balordi assoldati nel Bronx da Franco Fantasia".

(Marco Giusti)

 

"Un felice mix tra il road movie e il film di mafia nel quale si anticipa un tema di attualità come il fenomeno del pentitismo mafioso: protagonista è un credibile e tormentato boss mafioso tratteggiato da un Mario Merola probabilmente nella sua migliore interpretazione".

(Amarcord)

 

"Peccato che Lenzi non abbia  saputo trasformarlo in un autentico confronto di prototipi di genere, limitandosi a sviluppare separatamente due linee narrative. Ma il picciotto Biagio Pelligra, vero protagonista, serve da collegamento perfetto, fra le due linee del racconto".

(Giovanni Buttafava)

 

"È il più moderno e il migliore dei miei film".

(Umberto Lenzi)

 

"Celebrando, inconsapevolmente, la dipartita del poliziesco all'italiana, Da Corleone a Brooklyn ne prefigura l'ulteriore cambiamento di pelle: negli anni '80 si andrà a girare in America, un'America da telefilm di serie C popolata da poliziotti lampadati e dalla mascella a parallelepipedo, con nomi da pornodivi e ceffi da stuntmen di terza categoria. Mentre la New York del film di Lenzi è ancora un'appendice delle città violente peninsulari: gli sbirri americani e italiani parlano la stessa lingua, tutti capiscono tutti (salvo l'occasionale equivoco linguistico parolacciaro: Milian non è passato invano) e le bande di delinquenti da strada hanno le stesse ghigne dei mariuoli trasteverini, che a loro volta facevano il verso ai teppistelli delle mean streets nuovayorchesi. Inoltre, le stanze d'hotel nei sobborghi della Grande Mela non sono tanto diverse da quelle dei motel sull'Autostrada del Sole, e i pochi ricordi appesi alle pareti nelle case degli immigrati danno l'illusione che il distacco dai propri cari non sia mai avvenuto."

(Roberto Curti) [5]

 

"Ultimo prodotto del sodalizio Lenzi/Merli, che aveva dato luogo alle pellicole più riuscite del biondo attore. Qui troviamo il commissario di ferro alle prese con Marione Merola, il quale, dopo la nutrita serie di sceneggiate poliziesche con Alfonso Brescia, era ormai divenuto il nome di richiamo del genere per le platee del Sud. Inevitabile quindi che nel gioco di incroci tesi a sfruttare al massimo il filone, i re della sceneggiata incontrasse l'idolo delle folle da Roma in su, in quello che è il poliziesco narrativamente più riuscito di Lenzi, dove il solito collage di situazioni violente in cui è calato il poliziotto viene articolato nella struttura più solida di un vero road-movie, teso e avvincente. L'incontro tra i due attori è però quasi completamente virtuale, perché mentre Merola interpreta Michele Barresi, un boss arrestato negli Stati Uniti, Merli è Il commissario Berni, che indagando in Italia su alcuni omicidi scopre che proprio Barresi ne è il mandante e si ritrova a dover scortare un importante testimone (Biagio Pelligra) dalla Sicilia a New York, per ottenere l'estradizione del mafioso. Il film si snoda durante il pericolosissimo viaggio che il poliziotto e il collaboratore di giustizia (come si direbbe oggi) compiono, mettendo Merli e Merola faccia a faccia solo nel finale, e valorizzando (finalmente) il bravissimo Pelligra, caratterista molto attivo nel genere poliziesco, che dimostra di essere capace di sostenere ruoli ben più impegnativi. Con la sua interpretazione dolente e convincente, infatti, ruba spesso la scena al commissario Merli, un po' impacciato quando si tratta di uscire dalla sua recitazione tutta occhi strizzati e pistolettate. Lenzi infatti rinuncia in parte alla violenza esasperata alla quale ci aveva abituati, per tentare una descrizione più approfondita dei personaggi, con risultati apprezzabili. Certo, Merola anche nella parte del cattivo deve comunque fare il difensore dei più deboli, regalando soldi a un galeotto messicano o difendendo un 'disgraziato di portoricano' (sic!) imbrogliato al gioco (non ci stupirebbe scoprire che questi episodi li facesse inserire in sceneggiatura lo stesso Merola), ma la riuscita del film ci fa perdonare le sue gigionate. Attenzione alla scena in cui Merli viene preso a botte da una gang di strada a New York: pare che per girare la sequenza fosse stata ingaggiata una vera banda che si accanì realmente contro il povero attore. Da segnalare, nel cast di contorno, Luca Barbareschi pre-Cannibal Holocaust nei panni di un agente di polizia, giovanissimo ma dalla ghigna già antipaticissima. Occhio alle versioni video: lasciate perdere le VHS Avo Film e Magnum 3B, mancanti di tutta la sequenza dei titoli di testa, che partono sovrapponendo una squallida titolazione elettronica sul film già avviato."

(Daniele Magni e Silvio Giobbio) [6]

 

"Siamo nel 1979 e Umberto Lenzi torna a dirigere per l'ultima volta Maurizio Merli in Da Corleone a Brooklin (nei titoli di testa, per un errore, compare il titolo Corleone a Brooklin), quello che può considerarsi come uno degli ultimi polizieschi all'italiana degni di tale nome. In realtà il film, considerati i due attori protagonisti, Mario Merola e Maurizio Merli, è un bel mix tra la sceneggiata napoletana ed il poliziottesco. Merola è un potente boss dalla Mala nostrana, Michele Barresi, che si è rifugiato a New York sotto falso nome, in quanto ricercato dalla polizia italiana (...). La forte rivalità vissuta sul set non intacca la recitazione di Merli, che non sembra risentire del dualismo con l'attore napoletano. Interpreta un ruolo per lui consueto e ben collaudato e dà prova di maturità e sicurezza. L'ambientazione americana della pellicola fa presagire un cambiamento di stile e di location per i film polizieschi o pseudo tali che vedranno la luce a partire dagli anni ottanta. Biagio Pelligra, intervistato da Manlio Gomarasca racconta la sua esperienza sia con Lenzi, che con Merli: «Lenzi mi aveva chiamato per prendere parte ad un altro film, ma mi ha sostituito un attore americano, perché feci uno sceneggiato televisivo Una donna, con la regia di Gianni Bongioanni. Preferii fare lo sceneggiato, visto che erano sei puntate e rinunciai a quel film. Una volta, mentre ero in un ristorante, decisi di chiamare Lenzi per sentire come stava e che faceva. Lui mi ha detto: 'Eh, quando gli attori non lavorano allora chiamano i registi!', come quasi fosse un rimprovero, e risposi: 'Ma scusa, chi te l'ha detto che non sto lavorando? È tanto tempo che non ci sentiamo ed ho voluto chiamarti.' 'Va bene, mi vieni a trovare in questi giorni?' ed io andai e così è nato il ruolo in Da Corleone a Brooklin. Faceva molto freddo [a New York, ndr] e ricordo che con Maurizio Merli stavamo con i piedi a mollo nella neve e poi nei momenti di pausa andavamo dentro la macchina a riscaldarci col motore acceso e i piedi sul cruscotto per riscaldarli. Una cosa in particolare ricordo: lui [Maurizio Merli, ndr] mi portava a New York per farmi testimoniare in tribunale contro il mafioso Mario Merola. Mentre aspettavo Merli che era sceso nella hall per cercare qualcosa da mangiare, come da sceneggiatura, io sono uscito dalla scale di sicurezza, quelle scale di ferro che si trovano spesso dietro le case in America. La macchina da presa era posizionata all'angolo della strada, io mi sono calato da questa scala e sono scappato. Mentre correvo per arrivare all'angolo di strada, e quindi girare ed uscire fuori dalla scena, lì c'era, sulla destra, un poliziotto vero, che vedendomi correre in quella maniera ha tirato fuori la pistola gridando 'Stop! Stop!' [ride], per cui, ad un certo momento, mi sono fermato, ho alzato le mani e ho detto: 'It's a movie, it's a movie! Don't worry!' [ride] e quindi, quando ha capito, ha fatto un gesto con la mano come per dire ok, non c'è problema. Ecco, questo è un aneddoto che posso dire di Maurizio. Era un bravo ragazzo, una brava persona, ed era uno che non si lasciava scappare nemmeno un'occasione con le donne [ride]. Era il protagonista, ed era anche il bello della situazione e ci teneva a dimostrarlo. Sono piccole vanità umane che sono comprensibili per certi aspetti!». Anche il regista conferma le difficoltà incontrate negli Stati Uniti a causa delle temperature particolarmente fredde: «Durante questo lavoro abbiamo avuto dei grossi problemi di riprese, perché iniziammo a Palermo, era un film on the road, con 25 gradi, un sole splendente, pur essendo inverno (erano i primi di gennaio), la costumista aveva previsto un montone per Maurizio che andava molto di moda, dei mocassini e dei pantaloni di velluto. Per Biagio Pelligra, un giaccone nero e delle scarpe normali, non troppo pesanti. Quando siamo arrivati a New York, scesi dal taxi davanti all'albergo, sulla 5° strada, io mi sono accorto che non riuscivo nemmeno ad entrare in hotel, perché ero completamente anchilosato. Erano circa 20 gradi sottozero, tutto il fiume Hudson era pieno di barre di ghiaccio. Era terribile. Come faremo a girare, mi domandai, oltretutto io non è che avevo a disposizione una troupe con tutti i mezzi che hanno gli americani. La mattina siamo andati a girare sul set e dovevamo fare una grossa scazzottata con dei personaggi della malavita portuale che cercavano di bloccare Maurizio e di liberare Pelligra, che era ammanettato da un poliziotto italiano arrabbiato ed antipatico, per loro che erano scaricatori di porto. Ad un certo momento, mi sono consultato con il mio aiuto, che è anche maestro d'armi e ho detto: 'Guarda, qui non c'è niente da fare, non è che posso insegnare la tecnica del fighting cinematografico a delle persone prese in mezzo al porto di New York'. L'unica cosa era farla dal vivo. Andai da Maurizio e gli dissi: 'Maurizio, io la giro una volta sola, macchina a mano, però poi se ti picchiano devi prendere le botte'. Lui rispose: 'Ok! Non c'è problema'. Ho fatto la ripresa con lui attaccato alla rete e questi che vanno lì in sei o sette picchiandolo di santa ragione e lui le ha prese tutte». La troupe, grazie alle conoscenze di Mario Merola oltreoceano, è ospite della comunità italiana, che una sera organizza una festa invitando parecchie persone dello staff, tra cui Maurizio Merli e Biagio Pelligra che ricorda: «Una delle ultime sere, quando stavamo a New York, eravamo in un hotel a Manhattan. Ricordo che Merli organizzò una serata al club Napoli, dove c'erano parecchie persone e c'erano anche persone, diciamo, 'sentite', non so se rendo l'idea. Mi ricordo che c'era un certo Frank Tieri, era uno abbastanza sentito, forse uno dei capi delle sei famiglie di New York. Ricordo che lui stava tranquillo, tutta la serata addossato ad una parete vicino all'uscita laterale, c'era anche la sua compagna. Si conoscevano con Mario Merola, tutti e due cantavano. È stata una bella serata in onore a questa troupe italiana e c'eravamo tutti, compresi Lenzi, Merli e molti altri. Poi alla fine della serata, siamo andati tutti a salutare Frank Tieri persona squisita e gentilissima, ringraziandolo dell'accoglienza (ride) e poi siamo ritornati in albergo». Un articolo apparso su «La Stampa» di Torino descrive in maniera incolore e neutra questo film: «Ruoli rovesciati per Mario Merola e Biagio Pelligra in confronto al Mammasantissima, dove il 're della sceneggiata' era il giustiziere che faceva pagare all'antagonista le sue nefandezze. Il soggettista-sceneggiatore-regista Lenzi, nel film odierno, ha fatto invece di Merola un boss della mafia palermitana che comanda omicidi a distanza; mentre Pelligra, manovale del crimine e unico testimone d'uno dei suddetti omicidi su ordinazione, ha il compito di legittimo vendicatore della giovane sorella, caduta sotto i colpi dei killer manovrati dal perfido boss. Espatriato a New York e qui protetto dalla mafia locale, il capo-cosca è arrestato 'per accertamenti' e incarcerato dalla polizia Usa; tuttavia spera di farla franca grazie all'appoggio di potenti 'padrini' e all'astuzia del difensore capace di manovrare un giudice. Ma il siculo boss ha fatto i conti senza l'oste, cioè senza l'intrepido poliziotto Maurizio Merli. Film d'azione e inseguimento, dove il poliziotto di ferro e dal viso di pietra ha il ruolo preminente. Da Corleone a Brooklyn lascia Merola un po' in ombra, dandogli in realtà un certo spazio solo al principio e alla fine»".

(Francesco Rondolini) [7]

 

"Seppur meno violento rispetto ad altre sue precedenti pellicole, questo ritorno di Lenzi al poliziesco d'azione riesce ugualmente ad esercitare un effetto d'incredibile coinvolgimento sullo spettatore. Creando un clima teso e avvincente che si snoda per tutta la durata del film, con momenti di eccezionale suspense e scene d'antologia (l'agguato nel ristorante di passaggio). Non solo, ma Da Corleone a Brooklyn riesce a fondere efficacemente assieme due filoni: quello d'azione sulla polizia e quello imperniato sulla mafia, in una miscela del tutto riuscita e convincente. Anche gli attori danno il meglio: sia Merli, di nuovo nel ruolo del commissario duro e dinamico che gli è così congeniale, che Merola, forse nella sua interpretazione migliore e comunque diversa dalle sue consuete, nella parte del boss Barresi, che instaura col poliziotto un tesissimo faccia a faccia a distanza. Da segnalare ancora l'interpretazione del bravo Biagio Pelligra, attore spesso presente nel filone poliziesco-mafioso, nel ruolo dello scomodo testimone. Inoltre il film è anche il primo vero e proprio 'road movie' poliziesco del cinema italiano ed ha fornito evidenti spunti e fonte d'ispirazione anche per il recente Palermo-Milano solo andata di Claudio Fragasso, che ne è quasi un remake".

(Antonio Bruschini e Antonio Tentori) [8]

 

"Da Corleone a Brooklyn è da ascriversi a pieno titolo tra le migliori opere lenziane; ciò che colpisce maggiormente è la caratterizzazione dei personaggi. Merli non è più il commissario tutto d'un pezzo sempre pronto ad usare metodi poco ortodossi (anche se le scazzottate non mancano), lo vediamo partecipe della vicenda in cui è coinvolto Scalia (esemplare in questo senso la sequenza in cui Berni decide di sfidare la sorte per cambiare la fasciatura al braccio del pentito o certe occhiate complici che i due si rivolgono all'interno dell'auto) e con il criminale cerca più il confronto che lo scontro (il volto di Merli sembra quasi solcato da una linea di commozione quando Scalia lo accusa dicendogli 'Tu non sai cosa vuol dire essere picciotto, nascere con la merda fin sopra alla testa'). Merola funziona perfettamente nei panni del cattivo e la struttura da road movie dà nuova linfa al poliziottesco (chissà se Lenzi aveva visto Cani arrabbiati di Mario Bava?) ispirando opere successive (si pensi al Fragasso di Palermo-Milano sola andata). Ma il film non andò benissimo, il genere era ormai nella sua fase calante e Lenzi passerà a dirigere commedie (Scusi, lei è normale?), horror (La casa 3) per poi ritornare al poliziottesco nel 1990 con Cop Target (obiettivo poliziotto) (...); il genere è ormai tramontato ma opere come Milano odia, Da Corleone a Brooklyn o Il trucido e lo sbirro lo tengono costantemente vivo."

(Federico Patrizi e Emanuele Cotumaccio) [9]

 

Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Maurizio Merli

 

Visto censura [10]

 

Il 13 aprile 1979, senza rincorrere in alcun taglio, Da Corleone a Brooklyn ottiene nulla osta n. 73398 potendo circolare nelle sale cinematografiche senza limitazioni d'età alla visione.

 

Metri di pellicola accertati: 2600 (94'50" a 24 fps).

 

Sinossi estratta dal verbale allegato al nulla osta 

 

"In seguito all'uccisione di un boss mafioso a Roma, il dirigente dell'antimafia, Commissario Berni, si reca a Palermo per effettuare alcune indagini. Sospettando che l'autore dell'omicidio sia il noto pezzo da novanta Michele Barresi, Berni riesce a mettere le mani su un suo uomo, Scalia, e quando apprende che la polizia di New York ha arrestato un italiano sospetto la cui foto ricorda alla lontana il boss siciliano, decide di giocare una carta pericolosa. Andrà in America portandosi dietro Scalia, che dopo l'uccisione della sorella da parte dei sicari di Barresi, si dichiara disposto ad identificare l'ex capo e a fornire le prove per la sua estradizione. Il viaggio ha inizio in un clima teso e sarà cosparso di trappole mortali per il commissario che alla fine riuscirà ad assolvere il suo compito."

 

 

NOTE

 

[1] "Il cinema rovente di Umberto Lenzi", a cura di Davide Magnisi, Gordiano Lupi e Matteo Mancini (Edizioni Il Foglio), pag. 255.

 

[2] Dal booklet allegato alla vhs Shendene & Moizzi (1999).

 

[3] "Maurizio Merli - Il poliziotto ribelle", a cura di Fulvio Fulvi (Bloodbuster), pag. 37 - 38.

 

[4] "Il cinema rovente di Umberto Lenzi", a cura di Davide Magnisi, Gordiano Lupi e Matteo Mancini (Edizioni Il Foglio), pag. 107 - 108 - 294.

 

[5] "Italia odia - Il cinema poliziesco italiano" (Lindau), pag. 335 - 336.

 

[6] "Cinici, infami e violenti - Dizionario dei film italiani polizieschi anni '70" (Bloodbuster), pag. 99 - 100.

 

[7] "Maurizio Merli - Il commissario dagli occhi di ghiaccio" (Morlacchi Editore), pag. 124 - 125 - 126 - 127 - 128.

 

[8] "Italia a mano armata - Guida al cinema poliziesco italiano" (Profondo rosso edizioni), pag. 96.

 

[9] "Italia calibro 9" (Profondo rosso edizioni), pag. 119.

 

[10] Dal sito "Italia Taglia".

 

Maurizio Merli

Da Corleone a Brooklyn (1979): Maurizio Merli

 

"Sul set ero solo un animale da fiuto e mi dicevo: vai, falli ridere e piangere."

(Umberto Lenzi)

 

Trailer

 

F.P. 10/01/2024 - Versione visionata in lingua italiana, vhs Shendene & Moizzi (durata: 91'20")

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