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La spia che venne dal freddo

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

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La recensione su La spia che venne dal freddo

di FABIO1971
6 stelle

Il freddo evocato dal titolo è quello gelido della vita alienata e disperata dell'agente segreto: una squallida e disumana esistenza, sempre sospesa tra disincanto e tragedia e regolata dalle sordide meschinità degli intrighi di potere. Altro che il patinato e scoppiettante universo di James Bond: il canto del cigno delle spie, in piena guerra fredda, ha atmosfere lugubri, personaggi grigi e malinconici, misteri indecifrabili. Paul Dehn (che curiosamente firmò anche il copione di Goldfinger) e Guy Trosper, gli sceneggiatori della versione cinematografica del best seller di John Le Carré (sequel del romanzo d'esordio Chiamata per il morto), ne traducono fedelmente e con incisività di toni l'incedere sofferto e riflessivo e l'approccio anti-eroico alle tensioni internazionali scatenate dalle drammatiche vicende tratteggiate nel romanzo. Il protagonista Alec Leamas (Richard Burton) è una spia che le alte sfere dei servizi segreti britannici vorrebbero pensionare tra le scartoffie: lui, agente operativo, riesce a convincere i suoi superiori a farsi affidare una nuova missione, in cui dovrà infiltrarsi come agente traditore, "la merce più vile della guerra fredda", nel controspionaggio nemico e prendere contatto con l'ex-nazista Mundt (Peter Van Eyck), ora al vertice dei servizi segreti della Germania Orientale. Ma le insidie della missione esploderanno presto in tutta la loro tragica ineluttabilità appena Leamas varcherà il muro di Berlino, intrappolato da subito in una diabolica e spietata lotta di potere. Diretto dal Martin Ritt reduce da L'oltraggio, il controverso remake western di Rashomon realizzato l'anno precedente, La spia che venne dal freddo, pur non riuscendo ad eguagliare il fascino del romanzo di Le Carré (qualche schematismo e stereotipo di troppo, un finale di notevole impatto ma eccessivamente sbrigativo), stempera gli umori più dolenti e crepuscolari della vicenda nell'essenzialità stilistica della narrazione, che procede lentamente per accumulo di indizi e dettagli senza che l'efficacia spettacolare e l'amarezza di fondo ne risentano, affidandosi ad un cast d'attori in stato di grazia, da un Richard Burton strepitoso agli ottimi Cyril Cusack (è Control, il capo dei servizi segreti britannici) e Oskar Werner (che indossa i panni di Fiedler, l'agente oltre cortina imbeccato da Leamas e che dovrà tendere la trappola a Mundt), fino alla deliziosa Claire Bloom nei panni della bibliotecaria comunista (che nel romanzo, però, era molto più giovane) e alle sontuose raffinatezze della messinscena, dalla magnifica colonna sonora di Sol Kaplan ai suggestivi chiaroscuri della magistrale fotografia di Howard Morris.

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