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Viaggio a Tokyo

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Viaggio a Tokyo

di sasso67
10 stelle

Probabilmente il capolavoro di Ozu, il film racconta del viaggio da Onomichi a Tokyo dei due anziani coniugi Hirayama per andare a trovare i due figli che vivono nella grande città, ormai preda di palazzoni e ciminiere, nonché del lavoro frenetico da parte dei suoi abitanti. Il Giappone si è tuffato, in quell'inizio degli anni cinquanta, nel lavoro, probabilmente per riscattare la tragica follia della guerra finita con le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. I vecchi Hirayama hanno avuto cinque figli: la più giovane vive ancora con loro, il secondogenito è morto in guerra lasciando vedova la giovane moglie Noriko, il giovane Keizo vive a Osaka, indaffaratissimo nel lavoro, mentre due vivono a Tokyo con le rispettive famiglie, il maggiore fa il pediatra, mentre la femmina è parrucchiera. Fin dall'inizio si comprende come i due vecchi non siano i benvenuti a casa dei figli, con questi ultimi che non sanno dove metterli e come occuparsi di loro, mentre i nipotini semplicemente li ignorano. L'unico momento di felicità è offerto loro dalla nuora vedova, che li ospita volentieri a casa sua e si prende un giorno di ferie per far visitare Tokyo ai suoceri. Quando tornano a casa l'anziana donna si sente male e muore e tutti saranno pronti a sentenziare che "è stato il viaggio a Tokyo". Ma non è stata tanto la fatica quanto il dolore di vedere i figli così disaffezionati, ormai proiettati non soltanto nelle loro rispettive nuove famiglie - che questo sarebbe almeno comprensibile - ma in una vita piena di lavoro e vuota di valori, che rende la loro cerimoniosità un velo che copre un deserto di sentimenti. E infatti basta poco - la sbornia del vecchio Hirayama insieme ad anziani amici - a far scoppiare l'ira della figlia Shige. Proprio questa è la più dura di cuore dei quattro figli: appena celebrato il funerale della mamma si preoccupa di appropriarsi delle povere cose appartenutele e sentenzia che "era meglio se moriva il babbo". Il giovane figlio Keizo arriva quando la mamma è già morta ed è il primo a ripartire. Solo due donne concedono un filo di speranza: la nuora Noriko, affezionata ai suoceri anche nella memoria del giovane marito morto in guerra (ma autocritica e conscia di essere ancora giovane e di potersi rifare una vita) e la figlia ultimogenita Kyoko che critica aspramente l'egoismo dei fratelli, nella speranza di non diventare come loro (anche se sta per sposarsi e abbandonare la casa del padre).

Potentissima, anche se dimessa, metafora del Giappone postbellico, somigliante in grande misura al neorealismo italiano (ricorda soprattutto "Umberto D."), lezione di stile e d'umanità, "Tokyo Monogatari" colpisce anche per le interpretazioni, che sembrano quasi non esserci, dei protagonisti: personalmente mi hanno in particolare colpito i due anziani, Chishu Ryu e Chieko Higashiyama, nonché Haruko Shugimura che interpreta l'odiosa figlia Shige.

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