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Matrix Resurrections

Regia di Lana Wachowski vedi scheda film

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MrMatthew93

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Matrix Resurrections

di MrMatthew93
9 stelle

 

Era il 1999 quando Matrix irruppe nelle sale cinematografiche di tutto il mondo diventando il primo grande fenomeno di costume del nuovo millennio. Da allora, da li a pochi anni, uscirono due controversi sequel (Reloaded Revolutions, da riscoprire a detta di chi scrive), un videogioco crossmediale (Enter the Matrix, il quale esplorava la narrazione del secondo film dal punto di vista di due personaggi secondari), una raccolta di pregiatissimi cortometraggi che espandevano la mitologia della saga (Animatrix) e, infine, un videogioco di ruolo di massa (MMORPG) che aveva lo scopo di proseguire gli eventi da dove il terzo capitolo li aveva lasciati, un progetto molto ambizioso per l'epoca, che si rivelò, dopo pochi anni, fallimentare.

Da allora il progetto Matrix è stato a lungo considerato chiuso, almeno fino ad oggi: in un'epoca in cui una Hollywood a corto di idee ripesca da qualsiasi elemento dell'immaginario pop del passato poteva certo mancare un'icona come quella di Matrix? E così ecco che nel 2021 (2022 in Italia) arriva nelle sale il quarto capitolo della saga. 

Il prologo è fra i più rassicuranti possibili: inquadrature speculari a quelle della prima scena del primo capitolo della saga, stessa situazione, sembra proprio l'ennesimo sequel nostalgia; quando ecco che irrompono elementi di disturbo (forse non è ciò che pensiamo sia viene esplicitamente riferito), da li a poco verrà mostrato un cartello con su scritto For those who love to eat shit ed è da li che il film parte davvero.

La prima parte è quella che colpisce di più in prima battuta: ironica, pungente, intelligentemente metacinematografica e autoconsapevole oltre qualsiasi aspettativa, un j'accuse verso una casa di produzione ricattatoria (la Warner viene esplicitamente citata,così come l'imposizione di un Matrix 4): tutto viene coscientemente e scientificamente trasformato in farsa, le operazioni nostalgia sono così messe a nudo come mai prima d'ora (compresa la stupidità di chi ha la pretesa di aver capito un'opera più del creatore stesso, in questo senso centrale la sequenza del brainstorming).

La seconda è più apparentemente canonica, in realtà è proprio qui però che i diversi cuori del film entrano in gioco in maniera ancora più dirompente:

  • A discapito delle apparenze il gioco della farsa prosegue ancora: ciò che viene esplicitato direttamente durante la prima ora qui viene suggerito sia tramite linee di dialogo (vedasi l'apparizione fugace e sopra le righe del Merovingio), che per dettagli in scena che, soprattutto, tramite il linguaggio cinematografico, il più evidente: i combattimenti alla matrix sono visibilmente più spenti e dimenticabili, a Lana Wachowski non interessa più portare avanti quel discorso di vent'anni fa e non ha paura di renderlo evidente: tutto è spompato, sbeffeggiato, una pallida imitazione di quello che fu e che non può tornare a essere.

  • Il mondo reale è cambiato ed è naturale conseguenza degli eventi del terzo film. Pur nella volontaria superficialità del tutto quel che emergono sono comunque spunti interessanti sul rapporto uomini e macchine: più un atto dovuto a tutto ciò di cui la trilogia originale si fece veicolo, porta i concetti a una ulteriore dimensione senza snaturare niente di quanto visto nella vecchia trilogia, ma è evidente che non è qui che l'attenzione del film sia focalizzata. Quel che più interessa invece è una comunità di risvegliati rinchiusa in se stessa e, sostanzialmente, arresa agli eventi (vi interessa più coltivare fragole che risvegliare dormienti). 

  • Il cuore del terzo atto del film: l'Analista. Li dove la vecchia Matrix era progettata da un Architetto con pure regole di precisione matematica qui è tutto regolato dal controllo delle menti tramite desideri indotti di un sistema che in realtà cannibalizza tutto ciò che fa parte del nostro immaginario (e, in quanto tale, ci appartiene): qui la metafora Matrix=Hollywood esplode ancora di più: sia tramite soluzioni molto sottili (la manipolazione del bullet time a livello narrativo da parte dell'Analista/Hollywood contro Neo/Wachowski), che tramite monologhi apertamente espliciti che non fanno sconti proprio a nessuno. Sul finale, prima di un lancio disperato, viene sussurrato da Trinity non si può vivere nel passato.

In questi tre punti si è volutamente tralasciato il rapporto fra Neo e Trinity. Questo perché tutto ciò che è stato descritto finora è la descrizione della reazione di Lana Wachowski all'idea di dover affrontare un nuovo Matrix e che non ha paura di mettere in scena: rabbia, frustrazione, rassegnazione. Perché qualcosa da dire fuori da Matrix lei ce l'ha eccome, ed è in questo tenero rapporto d'amore che lo rende manifesto, non a caso la più vicina concettualmente alle ultime opere delle due sorelle (in particolare la serie TV Sense8): pur avendolo anticipato fra le prime battute del film è con loro che si concretizza il superamento della logica binaria della scelta (non a caso l'opera a cui Neo lavora quando verrà disturbato dal nuovo Matrix 4 si chiamava proprio Binary...), dunque la logica che nel primo storico film era veicolato tramite pillola rossa/blu (conosci già la tua scelta viene detto durante le prime battute del film): ci si libera soltanto insieme, superando l'Io (anche qui, non a caso, nome della nuova città di risvegliati, come detto prima rinchiusa in se stessa a guscio) per abbracciare una dimensione ulteriore in cui le categorizzazioni di genere non hanno più alcun senso e sono nient'altro che una gabbia mentale (gabbia mentale rappresentata anche dalla vita di Tiffany/Trinity dentro Matrix: intrappolata in un matrimonio convenzionale sottomesso, salvata solo da una sua autentica passione che le permette, una pur fugace e illusoria, via di fuga).

 

Infine due parole sul film sul piano tecnico: quando decide di esserlo si mostra un film spento, moscio, senza guizzi ma quando decide di mostrare il suo talento la Wachowski non lesina nel mostrarlo su pellicola tramite inquadrature ricercate e avvolgenti, una fotografia volutamente respingente rispetto l'estetica matrixiana ma funzionale allo scopo del film. Il tutto accompagnato dalla colonna sonora di Johnny Klimek e Tom Tykwer (che prendono le redini dopo l'ottimo lavoro di Don Davis con la trilogia originale) che fa il suo dovere con sonorità elettroniche meno incessanti e sperimentali di quelle precedenti ma perfettamente funzionali alla pellicola.

 

Un'opera ultrastratificata dunque, molto più carica concettualmente di quanto le apparenze possano far intendere, in cui tutto viene inserito con precisa coscienza e cognizione: un cinema teorico che dunque si interroga su se stesso, l'arte e l'industria; un cinema anarchico nel modo in cui riesce a inserire più discorsi insieme senza aver paura di destare sdegno e rifiuti (cose che, di fatto, sta ricevendo nella maggior parte delle sedi oltre che il totale rifiuto del pubblico generalista); disperato e in parte rassegnato ma che, con un ultimo anelito, cerca di risvegliare la coscienza degli spettatori, anche, e soprattutto, di chi, come me, è corso in sala perché non vedeva l'ora di tornare dentro Matrix.

Ironia della sorte: guardando il film ne sono uscito. 

 

 

 

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