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Elegia americana

Regia di Ron Howard vedi scheda film

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La recensione su Elegia americana

di leporello
1 stelle

Appèndaun, appèndaun.... Fermatelo, mi vien da vomitare...

    Appendàun, appendàun... Ron Howard, che prima di sposarsi col lo star-system con la grana in tasca, da signorino, di cognome faceva Cunningham, è di quegli (sottolineo: quegli) americani che dello spaccato americano sanno soprattutto come fare a spaccarci i maroni. Non so niente e niente mi importerebbe sapere del vero signor Gèidi Vance, protagonista e originario autore letterario di questa blanda, ordinaria, noiosa vicenda autobiografica (a parte sapere se la sua carinissima moglie, sia quella vera, sia quella che il signorino Cunningham ha reclutato nel suo film) avesse mai una cugina (o una zia, forse...) da farmi conoscere; ma saperlo entusiasta (il vero signor Gèidi Vance) che i diritti cinematografici del suo best seller siano stati richiesti da Howard mi fanno pensare: a)  a che cazzo leggono con tanta foga quegli americani lì; b) a noi che cazzo ci danno da guardare. Per carità: libera scelta. Colpa mia.


   Personal disclaimer: sono stato fatalmente (at)tratto in inganno non tanto dalle costruite fattezze sceniche (e scemiche) di una Glenn Close che non si discute nemmeno sotto tortura, quanto dal “nasocembalo ben temperato” di  Amy Adams, la cui acuminata punta, come un’antennina bluetooth, attira sempre la mia ingenua attenzione ogni volta che mi ritrovi nel raggio del suo campo magnetico.
Brutta cosa, i campi magnetici. Fanno morire le orecchie, dicono.


   E ti tolgono il Tempo.

 

    Appendàun, appendàun. Questo filmaccio brutto va così su e giù nelle fasi del tempo che ti fa venire la nausea, non è una “costruzione”: è una costipazione da voltastomaco.  E’ una marea disgustosa che uno, se lo riguarda da capo, non saprà mai cosa c’entrava la tartaruga ferita in fase incipit (ma non gliel’ha detto, Fonzie, al regista, che ogni dettaglio dell’incipit di un film deve avere un riscontro nel prosieguo??). E’ un “apo/elegia” di reato filmico, un criminale lavoro a strascico che pesca anche le vongole minuscole appena nate e le butta sul mercato del cinema moderno (Netflix, sempre lui) incurante dell’inutilità, della puzza che procura, della pressapochezza acclamata ed acclamante, delle storie che non raccontano niente se non la storia che tutti hanno intorno a sé, arcistufi, e che nessuno vorrebbe sentirsi raccontare più.


    Ah, a proposito: salutatemi a Clint Eastwood.

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